changemanagement

Digital Transformation e Business Transformation: due facce della stessa medaglia

Il piano Transizione 5.0 è quasi in dirittura di arrivo ed è destinato a portare nuove risorse economiche a beneficio del mercato dell’Information and Communication Technology (ICT) che appare già piuttosto vivace.

Per sostenere efficacemente un processo di trasformazione digitale è però necessario verificare anche la maturità e le capacità ad accettare questi cambiamenti da parte dell’organizzazione in cui si vogliono implementare le soluzioni digitali.

Dalla Digital Transformation può quindi nascere una Business Transformation… O forse è quest’ultima che consente di applicare con successo la prima.


L’andamento del mercato ICT

Secondo il rapporto “Il Digitale in Italia - 2024” diffuso da Anitec-Assinform, l’associazione del sistema Confindustria che segue le aziende e il mercato dell’Information and Communication Technology (ICT), il mercato digitale italiano nel 2023 ha fatto registrare una crescita del 2,1%, con un valore complessivo di 78,7 miliardi di euro.

I diversi segmenti specifici che compongono il mercato dell’ICT hanno consuntivato però risultati differenti.

I servizi ICT hanno evidenziato un +9%, mentre il settore dei dispositivi e dei sistemi ha mostrato un calo del 4,8%. Andamenti positivi hanno caratterizzato anche i comparti dei software e delle soluzioni ICT (+5,8%) e dei contenuti digitali (+5,5%).

Gli investimenti delle aziende e della PA si sono concentrati principalmente su:

  • soluzioni e servizi cloud per rendere più flessibili e scalabili infrastrutture e applicazioni;

  • strumenti di cybersecurity per la protezione dei dati ai diversi livelli;

  • gestione dei “big data” per migliorare l’utilizzo delle informazioni;

  • intelligenza artificiale per analizzare le informazioni e creare contenuti.

Vista all’orizzonte 2027, la tendenza del mercato appare in costante crescita, sia in valore assoluto, sia rispetto al PIL del Sistema Paese, e nel 2027 è previsto che possa superare i 90 miliardi di euro.

Gestire correttamente

la trasformazione digitale

A fronte di un mercato che appare quindi in crescita e che offre alle aziende soluzioni sempre più sofisticate e innovative, è corretto chiedersi quali siano i presupposti per gestire convenientemente la trasformazione digitale dei processi che, mai come oggi, può risultare “disruptive”.

La risposta è abbastanza chiaramente individuata: per una corretta implementazione di soluzioni e innovazioni digitali è necessario che l’organizzazione e i processi aziendali siano preparati a ricevere e gestire questi nuovi strumenti. Occorre una valutazione preventiva della “readiness” al cambiamento digitale e un’eventuale ristrutturazione del modus operandi.

Prendendo in prestito un’immagine dal mondo rurale, l’azienda che si affaccia a una trasformazione digitale può essere vista come un campo che deve essere opportunamente arato e fertilizzato prima della semina, affinché il raccolto sia abbondante e di qualità.

È bene quindi che l’imprenditore rifletta preliminarmente sullo stato della propria organizzazione e sulla sua preparazione/propensione al cambiamento.

Occorre appurare se in azienda vi sono le giuste competenze per una trasformazione digitale dei processi e integrare le eventuali lacune. È però anche necessario eliminare le resistenze al cambiamento, sostenendo le persone che fanno parte dell’organizzazione e guidandole in modo opportuno attraverso la trasformazione dei processi in cui sono coinvolte, in modo che possano sentirsi parte integrante delle nuove dinamiche e non cadano nell’idea di essere escluse o, peggio, sostituite nelle mansioni dai nuovi sistemi informatici.

Una simile analisi, complessa e articolata, richiede all’imprenditore o al manager che l’affrontano freddezza e serenità di giudizio e di critica, anche del proprio operato; ma soprattutto la capacità di non cedere alla tentazione di pensare che la semplice adozione di un sistema informatico (magari agevolata da incentivi statali che coprono l’investimento) riesca a essere la panacea dei mali dell’azienda, senza capire che questi possono avere radici più profonde e difficili da estirpare.

In questo percorso può essere d’aiuto ricorrere a un supporto esterno di esperti in grado di guardare all’organizzazione in maniera trasparente e senza preconcetti, apportando inoltre un contributo di esperienza derivante dal confronto con diverse e molteplici realtà. 

In sintesi, possiamo affermare che una trasformazione digitale di successo si realizza non solo tramite una scelta ragionata del software o del sistema da acquistare, ma analizzando e plasmando preventivamente il contesto affinché l’introduzione e l’utilizzo dei nuovi strumenti informatici possano essere portati avanti con successo e con continuità nel tempo, creando autenticamente valore per l’impresa.


Foto di copertina: Gerd Altmann - Pixabay

Andrea Calisti

Business Transformation Expert


BLUPEAK - Business is culture

Agile Mindset&Design Thinking - Seconda parte

Agile Mindset&Design Thinking

per una Business Transformation di successo

seconda parte

Proseguendo l’articolo precedente, in cui ho parlato dell’Agile Mindset, ora tratto del Design Thinking.

Il Design Thinking è un modo di pensare, sviluppato per favorire l’innovazione e la creatività, con un approccio orientato all’utente e che parte da una comprensione approfondita dei suoi bisogni, per concepire soluzioni completamente nuove ed efficaci.  

Fin dall’inizio, alla base del Design Thinking c’è l’idea di un cambiamento disruptive: uno schema concettuale nuovo è necessario quando dobbiamo ideare prodotti o servizi innovativi, così come una Business Transformation che debba affrontare un passaggio radicale (quantico) o risolvere problemi particolarmente difficili di qualsiasi natura (i cosiddetti problemi aggrovigliati), laddove un approccio cartesiano convergente non è sufficiente. Nell’affrontare la Business Transformation, il Design Thinking può essere convenientemente integrato con le lezioni provenienti dalla Business Process Reengineering, sviluppate negli anni ’90 (Hammer, Davenport), il cui approccio prevede lo smantellamento e il ripensamento radicale di uno o più processi chiave dell’azienda.

Il Design Thinking si è sviluppato negli anni ‘80 e ‘90 alla Stanford University, adottato e perfezionato dalla maggior parte dei grandi player della produzione manifatturiera e del mondo digitale.

Un principio fondamentale del Design Thinking è che ogni innovazione deve operare nell’intersezione tra: 

  • Desiderabilità del cliente

  • Fattibilità tecnica

  • Sostenibilità aziendale

A mindset, a process, a toolkit?

Una delle principali aree di applicazione del Design Thinking, nei primi decenni della sua vita, è stata la progettazione dell’esperienza dell’utente (UX), dove è fondamentale sviluppare e affinare le competenze per comprendere e affrontare i rapidi cambiamenti negli ambienti e nei comportamenti degli utenti.

Il mondo è diventato sempre più interconnesso e complesso da quando Herbert A. Simon (Nobel per l’Economia e Premio Turing) ha menzionato per la prima volta il Design Thinking nel suo testo del 1969, “Sciences of the artificial”, e ha contribuito ad ampliare i suoi principi. Analisti di svariati settori, come architettura e ingegneria, hanno sviluppato tale modalità altamente creativa per affrontare le esigenze umane nell’era moderna e sempre più organizzazioni, in molteplici ambiti, troveranno nel Design Thinking uno strumento prezioso per sviluppare soluzioni innovative per prodotti e servizi. I team di progettazione utilizzano il Design Thinking per affrontare problemi poco definiti e sconosciuti (l’aggettivo inglese che è stato adottato, wicked, ha il senso di aggrovigliato, diabolico, malvagio, a sottolineare la difficoltà ad affrontarlo con metodi noti e schemi tradizionali; possiamo parlare di problemi complessi), perché in questo modo possono riformularli in modo umano-centrico e concentrarsi su ciò che è più critico per gli utenti.

Tra tutti i processi di progettazione, il Design Thinking è quasi certamente il migliore per pensare fuori dagli schemi. Con esso, i team possono svolgere meglio la ricerca UX, la prototipazione e i test di fruibilità per trovare nuovi modi di soddisfare le esigenze degli utenti.

La seguente distinzione delle fasi caratteristiche del Design Thinking è quella più universalmente adottata:

Fase 1: Empatizzare

Explore Users’ Needs - In questa fase è necessario approcciare empaticamente al problema da risolvere, in genere attraverso l’osservazione degli utenti. L’empatia è fondamentale per un processo di progettazione incentrato sull’uomo, perché consente di mettere da parte le proprie supposizioni sul mondo e di acquisire una visione reale degli utenti e delle loro esigenze. Quando è possibile, il designer deve mettersi nei panni dell’utente e vivere direttamente la sua esperienza. È utile integrare in questa fase qualsiasi conoscenza e capacità di gestire i bias cognitivi e le trappole mentali.

Fase 2: Definire

Assess your stakeholders’ pains & gains - La seconda fase consiste nell’accumulare le informazioni raccolte durante la fase precedente. Le osservazioni vengono analizzate e sintetizzate per definire i problemi principali identificati dal team. Queste definizioni sono talvolta chiamate problem statements. Un potente strumento per questo scopo è chiamato personas (una sorta di archetipo, realistico, del soggetto, con foto, citazioni, desideri, ostacoli...) per aiutare a mantenere gli sforzi centrati sull’uomo prima di procedere alle fasi successive.

Fase 3: Ideare

Create ideas adopting lateral thinking - Ora il team è pronto a generare idee. Il bagaglio di conoscenze acquisito nelle prime due fasi permette al team di iniziare a pensare fuori dagli schemi, a cercare modi alternativi di vedere il problema e a individuare soluzioni innovative per sostanziare l’affermazione proposta. Il brainstorming è particolarmente utile in questo caso, così come qualsiasi altro strumento di pensiero laterale, soprattutto i Sei Cappelli di De Bono (ci tornerò più avanti).

Fase 4: Prototipo

If fail, fail soon - Questa è una fase altamente empirica e sperimentale. L’obiettivo è identificare la migliore soluzione possibile per ogni problema riscontrato. Il team dovrebbe produrre alcune versioni economiche e ridotte del prodotto (o di specifiche funzionalità presenti nel prodotto) per approfondire le idee emerse. Ciò potrebbe comportare anche una semplice prototipazione su carta. Uno dei mantra del Design Thinking, infatti, è show, don’t tell (mostra, non raccontare): si tratta di un chiaro collegamento con l’Agile Mindset, che ricerca i primi feedback degli utenti attraverso la consegna incrementale delle parti di prodotto a cui si è lavorato. Si tratta di un passaggio critico, perché immaginare un fallimento, o peggio ancora cercare feedback negativi da parte degli utenti, è anticulturale, per nulla istintivo, per cui il team leader deve gestire con attenzione la consapevolezza e le emozioni del gruppo.

Fase 5: Test

Challenge your solutions to launch - I prototipi vengono testati rigorosamente. Anche se questa è la fase finale, il Design Thinking è iterativo. I team spesso utilizzano i risultati per ridefinire uno o più problemi successivi. Quindi, si può tornare alle fasi precedenti per effettuare ulteriori iterazioni, modifiche e perfezionamenti, per trovare o escludere soluzioni alternative. L’iterazione può riguardare qualsiasi fase.

Appare chiaro che utilizzando il Design Thinking combiniamo pensiero convergente e divergente, e l’abilità del team leader deve essere focalizzata nel bilanciare efficacemente questi due poli.

Divergent/convergent thinking

I principi di cui sopra possono essere sintetizzati così:

  • La comprensione dei bisogni del cliente è fondamentale.

  • L’approccio è fortemente incentrato sull’uomo.

  • Il valore della prototipazione è grande.

  • Il potere dello schizzo (Show, dont tell).

  • Un approccio al pensiero laterale ben allenato aiuta a evitare i bias cognitivi.

The De Bono Six Hats

I Sei cappelli per pensare sono stati creati e sviluppati dal Dr. Edward de Bono. La tecnica dei Sei cappelli e l’idea associata del pensiero parallelo forniscono ai team un mezzo per pianificare i processi di pensiero in modo dettagliato e coeso e, così facendo, per pensare insieme in modo più efficace.(1)

Sebbene il metodo dei Sei cappelli di De Bono non sia effettivamente incorporato nel Design Thinking, potrebbe rappresentarne una potente integrazione.

 Vediamo nel dettaglio:

  • Il Cappello Bianco si basa sull’analisi di informazioni conosciute o necessarie: “I fatti, solo i fatti.”

  • Il Cappello Giallo simboleggia luminosità e ottimismo. Sotto questo cappello si esplorano gli aspetti positivi e costruttivi e si cercano vantaggi e benefici.

  • Il Cappello del risk management è probabilmente il cappello più potente, ed è un problema, tuttavia, se usato eccessivamente: individua i punti critici e le cause di mal funzionamenti. È per sua natura un cappello d’azione, con l’intento appunto di evidenziare i rischi e superarli.

  • Il Cappello Rosso rappresenta sentimenti, presentimenti e intuizioni. Quando si usa questo cappello, è possibile esprimere liberamente le emozioni e ciò che proviamo, condividere paure, simpatie, antipatie, amori e odio.

  • Il Cappello Verde si concentra sulla creatività, sulle possibilità, sulle alternative e sull’originalità. Ci offre l’opportunità di esprimere concetti e percezioni nuovi.

  • Il Cappello Blu viene utilizzato per gestire in modo strutturato il processo del pensiero. È il meccanismo di controllo che garantisce che le linee guida dei Sei Cappelli del Pensiero® siano osservate.

Qui di seguito gli obiettivi che possono essere raggiunti applicando tale metodologia:

  • Massimizzare la collaborazione produttiva e minimizzare l’interazione e i comportamenti controproducenti

  • Considerare questioni, problemi, decisioni e opportunità in modo sistematico

  • Utilizzare il pensiero parallelo come gruppo o team per generare idee e soluzioni più numerose e migliori

  • Rendere le riunioni molto più brevi e produttive

  • Ridurre i conflitti tra i membri del team o i partecipanti alle riunioni

  • Stimolare l’innovazione generando rapidamente idee in maggior numero e migliori

  • Creare riunioni dinamiche e orientate al risultato, che invoglino le persone a partecipare

  • Andare oltre l’ovvio per scoprire soluzioni alternative efficaci

  • Individuare opportunità dove gli altri vedono solo problemi

  • Pensare chiaramente e oggettivamente

  • Vedere i problemi da angolazioni nuove e insolite

  • Fare valutazioni approfondite

  • Vedere tutti gli aspetti di una situazione

  • Tenere a bada l’ego e la difesa del territorio

  • Ottenere risultati notevoli e significativi in meno tempo

1 https://en.wikipedia.org/wiki/Six_Thinking_Hats





CONCLUSIONI

In chiusura del mio intervento, diviso qui sul sito BluPeak in due parti, ricordo che la tipologia degli attuali scenari di mercato richiedono alle organizzazioni forti capacità per realizzare cambiamenti costanti e regolari. Quindi i due approcci analizzati:

  • l’Agile Mindset, ovvero l’arte di fornire soluzioni flessibili e incrementali, accogliendo il cambiamento,

  • il Design Thinking, cioè l’arte del pensiero laterale, creativo e divergente, che permette di ottenere idee e prodotti radicalmente nuovi, in grado di soddisfare i clienti,

grazie alle caratteristiche precipue di ciascuno, possono essere convenientemente adottati e integrati per massimizzare le capacità di cambiamento richieste. Business Transformation, quindi, non appare più solo un termine ombrello, come viene diffusamente detto, che riunisce tutti gli strumenti necessari, bensì una vera e propria cultura del cambiamento organizzativo in grado di ottenere il successo.

Nell’era dell’Industria 5.0, definita anche come Economia dell’Innovazione, la comunità industriale internazionale ha riconosciuto che, oltre allo sviluppo tecnologico – più spesso digitale – è necessario puntare sulle persone e sui processi, adottando un approccio complesso e olistico alla trasformazione aziendale. Sia l’Agile Mindset (che include l’Agile Project Management e l’Organizational Agility) che il Design Thinking stanno fornendo agli stakeholder del cambiamento un vasto spettro di nuove competenze e di strumenti, opportunamente raccolti in toolkit.

Agile Mindset e Design Thinking sono stati creati per migliorare la capacità di innovazione nelle sfide di cambiamento dirompenti e con scenari incerti; entrambi hanno alternato periodi di moda a periodi di scetticismo, ma altrettanto entrambi sono oggi adottati dai grandi player e vengono riconosciuti, unanimemente, come efficaci tool per comprendere e gestire i cambiamenti.  

Agile Mindset e Design Thinking sono oramai ben sviluppati a livello globale, sufficientemente maturi e soprattutto costantemente perfezionati. Sia l’uno che l’altro sono basati su un approccio human-centered. Risultano inoltre in grado di potenziare le capacità di trasformazione e, nel contempo, possono essere fortemente rafforzati dalla vision e dalla strategia della Business Transormation stessa.

Last but not least, non possiamo non considerare la leadership: la richiesta di questo insieme integrato di capacità, allontanandoci dalle interpretazioni più facili e inefficaci di questa parola oramai abusata, sta diventando sempre maggiore proprio per guidare o sostenere il cambiamento. Importante è esplorarne anche le svariate e differenti dimensioni: leadership interpersonale, organizzativa, strategica, relativa alla mission nonché a sé stessi.

 

Stefano Setti

CEO&Founder di BluPeak Consulting

 

BLUPEAK - Business is culture

Innovazione e cambiamento per le PMI

Innovazione e cambiamento: fattori strategici per la sopravvivenza delle Piccole e Medie Imprese

L’importanza di un supporto efficace per affrontare questo percorso


L’evoluzione degli scenari

Foto di Augusto Ordóñez -Pixabay

L’inizio dell’anno è sempre un momento di bilanci e di indagine sulle prospettive per il futuro. Secondo alcuni esperti, l’anno appena iniziato sarà per la nostra industria interlocutorio per effetto delle dinamiche dell’economia mondiale, che l’Italia riuscirà a superare continuando a valorizzare la diversificazione della propria economia e del proprio tessuto imprenditoriale.

In questo contesto di analisi e aspettative, si inseriscono anche le statistiche e le previsioni di Cerved, la società che dal 1973 studia le evoluzioni del mondo imprenditoriale.

Secondo il Rapporto Cerved PMI 2023, a un 2022 positivo per le PMI italiane (+6,1% di fatturato, +3,2% di valore aggiunto), nel 2023 si è avuta un’inversione della tendenza, causata dall’inflazione, dal rialzo dei tassi di interesse e dalle note situazioni di conflitto in atto nello scenario geopolitico. Sempre secondo le previsioni 2024-2025 elaborate da Cerved, sarebbero a rischio l’8,5% delle piccole e medie imprese; inoltre lo scorso anno, per la prima volta dal 2019, sono tornate a crescere le chiusure di impresa (+33,3%), in particolare nel settore manifatturiero.

Nuove sfide imprenditoriali

Nei prossimi anni le aziende si troveranno quindi ad affrontare nuove sfide, operando scelte strategiche per assicurare la loro stessa sopravvivenza.

Inevitabilmente si assisterà a una sorta di selezione naturale che, secondo gli esperti, interesserà in particolare le PMI e che potrà essere superata solamente con delle decisioni mirate di investimenti, di diversificazione e di innovazione. Solo gli imprenditori che sceglieranno di non stare alla finestra potranno mantenere e accrescere il proprio livello di competitività e le proprie quote di mercato, superando la congiuntura sfavorevole e fronteggiando efficacemente la concorrenza europea ed extra-europea.

Foto di neo tam - Pixabay

Per poter fare degli investimenti occorrono però risorse finanziarie e per poter disporre di tali mezzi senza aumentare l’indebitamento dell’azienda, la strada obbligata è quella della riorganizzazione delle attività, che però non vuol dire tagliare indiscriminatamente produzione e personale. Un progetto di riorganizzazione aziendale efficace deve porsi come obiettivo l’eliminazione delle attività prive di valore aggiunto, con la conseguente liberazione di risorse finanziarie da indirizzare, ad esempio, nello sviluppo di nuovi prodotti, nella ricerca di opportunità di mercato diverse e nella formazione per la riqualificazione del personale.

A riguardo, è interessante la citazione tratta dal discorso fatto da Adriano Olivetti in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli (aprile 1955):

«Innalzare le nostre insegne a New York come a Francoforte, a Vienna come a San Francisco, a Rio de Janeiro o a Città del Messico o nella lontana Australia, organizzare officine, istruire venditori (…) garantire l’efficienza del personale, assicurare ovunque un servizio di assistenza tecnica (…) non fu cosa né facile, né rapida.

E questa lotta non avrà mai fine, poiché la concorrenza, le invenzioni, i perfezionamenti non hanno limiti e dovremo, sotto questo riguardo, non dar mai segni di stanchezza, alimentando di nuove forze tecniche i nostri laboratori di ricerche, i nostri centri studi.» (Adriano Olivetti “Ai Lavoratori”, Edizioni di Comunità).

Foto di Mohamed Hassan - Pixabay

Nel testo riportato è efficacemente riassunto l’atteggiamento delle imprese virtuose, che guardano costantemente al prodotto, all’innovazione e al mercato, per cogliere i cosiddetti “segnali deboli” e sfruttare tempestivamente le opportunità. Sono queste le aziende capaci di risollevarsi da momenti di crisi e sulla base dell’indice “Back-to-Bonis Score” (sviluppato sempre da Cerved mediante algoritmi predittivi che stimano le capacità di recupero per ogni posizione deteriorata o a rischio di deterioramento); tra queste si annoverano le imprese a controllo familiare, quelle con un amministratore delegato esterno, le startup innovative, le aziende guidate da under 35 e quelle con una leadership femminile.

Il ruolo della consulenza

Per operare efficacemente una riorganizzazione, è opportuno che la Direzione aziendale valuti con serenità di ricorrere a un supporto di consulenza. Spesso, infatti, l’imprenditore è assorbito dalle questioni correnti e dalle esigenze immediate e, se non viene adeguatamente assistito, non è in grado di dedicare il tempo adeguato e la giusta riflessione alle strategie di riorganizzazione.

Foto di Gerd Altmann - Pixabay

Inoltre, la partecipazione ai progetti di figure qualificate con una conoscenza ad ampio spettro delle realtà imprenditoriali, consente di studiare e di implementare soluzioni derivanti da tale bagaglio di conoscenze ed esperienze.

Infine, è importante procedere con metodo, e a questo proposito, una garanzia di affidabilità è costituita dalla certificazione di Qualità in base alla norma ISO 9001:2015. La certificazione garantisce, ad esempio, lo sviluppo delle diverse fasi del processo di consulenza a partire da un’analisi di rischi e opportunità e dalla definizione di specifici obiettivi di risultato.

Il consulente, oltre a saper analizzare le situazioni correnti, deve essere capace di costruire e proporre le opzioni di scenario più funzionali alle caratteristiche dell’azienda e guidare l’imprenditore verso una scelta consapevole che permetta percorsi da seguire con costanza e continuità.

 

 Andrea Calisti

Business Transformation Expert

BLUPEAK - Business is culture

BluPeak Consulting è un’azienda con Sistema di Gestione della Qualità certificato secondo la norma ISO 9001:2015

Change Management

BUSINESS TRANSFORMATION JOURNEY
CHANGE MANAGEMENT 

Come abbiamo visto nei precedenti articoli, il tema del cambiamento e la sua relativa gestione sono centrali all’interno dei programmi di Business Transformation. Governare una trasformazione del proprio business significa appunto sapere guidare un cambiamento profondo, radicale, essenziale, in grado di rilanciare la propria organizzazione, o comunque di imprimere una direzione differente al senso delle proprie attività core. Avere i rudimenti su come avvengono i cambiamenti e sulla loro gestione è quindi necessario per approcciarsi con competenza alla questione. Il nostro itinerario nelle discipline della galassia Business Transformation non poteva perciò non iniziare proprio da qui, dal Change Management, ossia l’arte di gestire i cambiamenti.

Partendo da una prima definizione standard che troviamo in rete, possiamo dire che «con il termine inglese Change Management si intende un approccio strutturato al cambiamento negli individui, nei gruppi, nelle organizzazioni e nelle società che rende possibile (e/o pilota) la transizione da un assetto corrente a un futuro assetto desiderato. Il change management, così come viene comunemente inteso, fornisce strumenti e processi per riconoscere e comprendere il cambiamento e gestire l'impatto umano di una transizione».

Come si evince da questa affermazione, il cambiamento ha a che fare innanzitutto con una transizione tra uno stato A a uno stato B. Esso è mosso da un desiderio che spesso sopraggiunge come reazione a una situazione di dis-comfort, ossia come risposta istintiva che ci sprona a modificare l’assetto di un contesto all’interno del quale non riusciamo più a perseguire con coerenza ed efficacia i nostri obiettivi attraverso i processi e le operazioni che avevamo messo in campo fino ad allora. Possono essere sconvolgimenti di mercato, eventi esogeni, errori di valutazione, nuovi obiettivi di business. Una volta preso coscienza di questo malessere, ci rendiamo conto che l’unica cosa da fare per sopravvivere, per rilanciarsi oppure per voltare pagina è cambiare. Il change management emerge a questo punto, come bagaglio di competenze ed esperienze da utilizzare per guidare al meglio queste fasi d’incertezza.  

Esistono numerosi modelli scientifici che possiamo usare per comprendere meglio la situazione e le mosse da mettere in campo per affrontare la transizione. Tutti sono accomunati dall’idea per cui un cambiamento, affinché possa avvenire, deve riuscire a vincere la resistenza iniziale, data dalla cristallizzazione di precedenti processi di cambiamenti che sono diventati abitudini. Spesso questa fase è quella foriera di conflitti, perché, come ci insegna Niccolò Macchiavelli nel Principe:

«E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi a capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene... ».

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Una volta però superata questa prima fase, quando il cambiamento è realtà, inizia la vera e propria navigazione a vista in mare aperto, ossia quell’interregno in cui il precedente assetto è alle spalle e ormai lontano, ma quello nuovo fa fatica a manifestarsi all’orizzonte. Ed è proprio qui che si vedono le doti del grande leader, di colui che riesce a tenere il timone dritto verso il nuovo obiettivo, mosso da visione, consapevolezza e pianificazione. Il fine è quello di condurre tutto l’equipaggio, ossia il proprio team e la propria organizzazione, verso un nuovo lido, che a sua volta diventerà col tempo abitudine prima di un nuovo cambiamento.

In particolare, vorremmo segnalare due elementi decisivi nel cambiamento. Il primo riguardo al fatto che ogni cambiamento è sinonimo di progetto. Il progetto significa letteralmente “gettare innanzi” (pro-iacio), ossia è slancio verso un avvenire che ancora non si è manifestato e che ha bisogno di emergere. Il progetto introduce una novità, motivo per cui si dice che il mondo, dopo qualsiasi progetto, è diverso da come lo avevamo lasciato. Da qui la grande missione affidata al project manager, ossia quella di essere change maker, di rendere realtà i desideri attraverso arte e disciplina, di lasciare un segno nel mondo affinché chi viene dopo di noi possa trovare un contesto migliore rispetto a come lo avevamo trovato. Capiamo quindi che ogni change manager sarebbe bene che fosse anche un ottimo project manager, e viceversa. Il secondo fattore da tenere in considerazione riguarda invece la change readiness, ossia la prontezza al cambiamento. L’analisi di questa è decisiva per capire se una transizione ha da farsi oppure no, cercando di indagare le reali motivazioni e i reali obiettivi che guidano tale spinta trasformativa e se l’ambiente, l’organizzazione e le persone sono effettivamente pronte per fare il salto. Tale studio, preliminare all’avvio del progetto di cambiamento, risulta decisivo per evitare conflitti, insuccessi, crisi e per far emergere tutto il potenziale insito nel movimento trasformativo stesso. La change readiness inoltre è importante per scoprire se le nostre organizzazioni hanno quella capacità di rispondere con agilità ed efficacia ai cambiamenti, capacità decisiva in un’epoca, come quella che stiamo vivendo, dove la percezione di ritrovarsi in balia di movimenti centrifughi crescenti è molto alta.

E voi, applicate modelli di change management in azienda? Il cambiamento vi spaventa o vi sfida? E come gestite l’incertezza derivante dalle transizioni? Fatecelo sapere!

  

Alessandro Melioli


BLUPEAK - Business is culture

Business Transformation Journey

BUSINESS TRANSFORMATION JOURNEY 2021
Strumenti per un Cambiamento di Qualità


Un viaggio in 5 tappe dentro al mondo della Business Transformation. Dal change management alla leadership trasformativa, passando per la business analysis, il risk thinking fino al decision making. Tante discipline diverse tra loro ma accomunate dal filo rosso della gestione di qualità del cambiamento. Per non ricorrere le trasformazioni, ma per guidarle con professionalità e competenza.

I tempi che stiamo attraversando sono caratterizzati da continui e cruciali cambiamenti, che impongono alle aziende lo sviluppo di una propria forma di sostenibilità e agilità organizzativa. La rivoluzione digitale – e la sua principale declinazione manufacturing racchiusa nel paradigma Industry 4.0 – non solo rappresenta un processo in corso da cui non ci si può esimere, ma è il principale volano di innovazione e rilancio nella congiuntura attuale. Eppure la tecnologia da sola non basta: la trasformazione, affinché sia sinonimo di valore, necessita di una specifica cultura manageriale, di un pensiero in grado di comprendere la complessità e di un linguaggio adeguato all’incedere dei tempi. Tutto questo lo si ritrova nella Business Transformation, vero patrimonio per persone e processi nell’azienda di qualità. 

Come BluPeak Consulting siamo dunque lieti di proporvi un ciclo di 5 workshop che andrà ad esplorare proprio la galassia della Business Transformation, attraverso una serie di incontri, incentrati ciascuno su una disciplina differente ma in dialogo con le altre. Il fine è quello di offrire le conoscenze base per maturare una prima necessaria consapevolezza intorno alle trasformazioni in atto nel mondo del business e alle modalità migliori per affrontarle.


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1. Change Management

Disegnare, attuare e consolidare la trasformazione (digitale e non)

Sabato 08 maggio 2021

Scopri di più..

Webinar gratuito di anteprima in collaborazione con Blulink (27 aprile 2021 alle 17.00),
clicca qui.


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2. Risk Thinking

Pensare l’incertezza a livello sistemico

Sabato 29 maggio 2021

Scopri di più..

Webinar gratuito di anteprima in collaborazione con Blulink (25 maggio 2021 alle 17.00),
clicca qui.


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3. Decision Making

La cultura delle decisioni: aspetti cognitivi e metodologici

Sabato 19 giugno 2021

Scopri di più..

Webinar gratuito di anteprima in collaborazione con Blulink (10 giugno 2021 alle 17.00),
clicca qui.


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4. Business Analysis

La comprensione profonda dei bisogni degli stakeholder

Sabato 11 settembre 2021

Scopri di più..

Webinar gratuito di anteprima in collaborazione con Blulink (02 settembre 2021 alle 17.00),
clicca qui.


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5. Transformation Leadership

La motivazione e la guida del team nel contesto del cambiamento

Sabato 16 ottobre 2021

Scopri di più..

Webinar gratuito di anteprima in collaborazione con Blulink (07 ottobre 2021 alle 17.00),
clicca qui.


Come: un workshop online fortemente interattivo ed esperienziale, che integra un distillato delle più accreditate teorie e best practides con la condivisione e l’elaborazione delle proprie esperienze.

Per chi: imprenditori, manager, project manager, innovation manager, business analyst, attori del cambiamento, chiunque sia interessato a riflettere e sviluppare le proprie competenze trasversali.


Prezzo: € 150,00 + IVA (€ 120,00 + IVA quota riservata ai partner di BluPeak)

Pacchetti di workshop

Tutti i prezzi sono da intendersi IVA esclusa.

Tutti i prezzi sono da intendersi IVA esclusa.


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