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Calcolo quantistico e business transformation

Il calcolo quantistico esce, lentamente ma con continuità, dalla dimensione dei laboratori di ricerca e promette di trasformare diversi settori industriali (farmaceutica, finanza, energia, telecomunicazioni per citarne alcuni) con un notevole effetto economico. Uno strumento di business transformation che apre scenari di grande impatto e interesse.

Prossimamente, quando parleremo con gli addetti ai lavori del settore informatico dovremmo abituarci a utilizzare nuovi termini – qubit, bit quantistico: prove di una prepotente rivoluzione nel campo della potenza dei sistemi di calcolo.

La rivoluzione del calcolo quantistico

Gerd Altmann - Pixabay

Quando si parla di “Computer Quantistici” ci si riferisce a sistemi di calcolo basati sui principi della meccanica quantistica. A differenza di quelli classici, che utilizzano il codice binario e i bit (che possono assumere valore 0 o 1), i computer quantistici impiegano i qubit (quantum bit), che possono trovarsi in una sovrapposizione degli stati 0-1 o una combinazione di entrambi contemporaneamente.

In un computer quantistico possono aversi diverse modalità di funzionamento.

Sovrapposizione: un qubit può rappresentare sia 0 che 1 nello stesso momento, aumentando la potenza di calcolo potenziale.

Entanglement (intreccio): due o più qubit possono essere correlati tra loro in modo che lo stato di uno influenzi istantaneamente quello dell'altro; il fenomeno permette calcoli paralleli su larga scala.

Interferenza quantistica: combinazione che serve a rafforzare le probabilità dei risultati corretti e a cancellare quelli errati durante i calcoli.

Questa tecnologia consente lo svolgimento di molteplici calcoli in parallelo, con una velocità di elaborazione decisamente più elevata rispetto a quella dei computer finora utilizzati. In questo modo sono possibili analisi, simulazioni e previsioni complesse e, in alcuni casi, non realizzabili fino a oggi.

Questa situazione rappresenta ciò che qualcuno chiama la “seconda rivoluzione quantistica” che consente l’applicazione pratica della “prima rivoluzione”, basata sulle teorie di Einstein.

Gerd Altmann - Pixabay

I Computer Quantistici

come strumento di business transformation

La sperimentazione dei computer quantistici nasce agli inizi degli anni 2000. Oggi, dopo un quarto di secolo, questi sistemi stanno, lentamente ma inesorabilmente, uscendo dai laboratori ed entrano nel mondo dell’industria e dei servizi.

Nel farmaceutico, i computer quantistici possono garantire supporto alla ricerca e allo sviluppo di nuovi farmaci tramite simulazioni molecolari e chimiche, progettazione di molecole biologiche avanzate, simulazioni di reazioni complesse. L’obiettivo è di velocizzare i processi di analisi e sviluppo.

In ambito finanziario, le simulazioni quantistiche portano a migliorare la modellazione dei mercati e delle loro fluttuazioni, le analisi di rischio e l’ottimizzazione dei portafogli di investimento.

Nel settore dell’energia, l’impiego dei computer quantistici può migliorare notevolmente l’efficienza nella gestione delle reti e l’integrazione delle fonti rinnovabili, ottimizzando la gestione della variabilità dei consumi e della produzione.

Nelle telecomunicazioni, importante è il contributo della crittografia quantistica alla sicurezza dei dati. Inoltre, è possibile migliorare la gestione del traffico dati evitando fenomeni di congestione delle reti e di conseguenza migliorando velocità e qualità dei servizi.

Potenziale e sfide del calcolo quantistico

Gerd Altmann - Pixabay

Il valore aggiunto creato dall’impiego del calcolo quantistico è ancora oggetto di studio. Diverse stime riportano però percentuali e sfide decisamente interessanti.

Nel settore farmaceutico e chimico, con l’impiego di questa tecnologia, si prevede una riduzione dei tempi di sviluppo che va dal 12% al 30%, con un risparmio di miliardi di dollari.

Nel campo energetico, la riduzione dei costi di produzione utilizzando le fonti rinnovabili potrebbe oscillare tra il 20 e il 30%, mentre in ambito finanziario viene ipotizzato un incremento della redditività degli investimenti tra il 10 e il 20%; stessa percentuale per la riduzione dei danni economici derivanti da violazioni dei sistemi informatici.

In definitiva ci sarà un effetto tangibile sull’andamento dell’economia a livello mondiale, grazie a innovazione e incremento dell’efficienza produttiva.

Certamente il potenziale di questa nuova tecnologia è notevole, ma altrettanto importanti sono le sfide da affrontare, non solamente dal punto di vista tecnologico.

Le organizzazioni dovranno fare proprio il modo di gestire questo tipo di apparati, evitando le perturbazioni (ad esempio le variazioni di temperatura e le vibrazioni) che possono condizionarne il funzionamento. Anche gli hardware e i software impiegati da questo tipo di tecnologia presentano delle specificità rispetto a quelli che conosciamo oggi, così come i linguaggi di programmazione.

Si renderà necessaria la creazione di specifiche professionalità o l’evoluzione delle figure professionali che attualmente operano nell’ambito dell’informatica, riportando nuovamente alla ribalta il tema della gestione e della diffusione della conoscenza in ambito non solo accademico, ma anche aziendale.

Lo scenario è complesso e articolato, ma il viaggio che si prospetta è davvero rivoluzionario, come quelli intrapresi nel passato dai navigatori che hanno permesso la conoscenza e l’esplorazione di nuovi continenti.

 

Credit foto di copertina: Pete Linforth - Pixabay

 

  Andrea Calisti

Business Transformation Expert


BLUPEAK - Business is culture

Industria italiana e congiuntura economica: trasformazioni e opportunità

Negli ultimi mesi, l’industria italiana ha vissuto un calo consecutivo della produzione industriale, sollevando preoccupazioni su una possibile crisi strutturale. Si tratta di una situazione da analizzare con attenzione per comprenderne le cause, i possibili sviluppi e il ruolo decisivo che il settore della consulenza può svolgere nel supportare le aziende a “navigare” attraverso le sfide attuali e future.

Questa crisi è strutturale?

Secondo Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo intervistato dal “Corriere della Sera”, l’attuale calo della produzione non rappresenta una crisi di sistema, ma piuttosto un intreccio tra dinamiche cicliche e difficoltà strutturali in alcuni settori specifici, come l’automotive e gli elettrodomestici.

Da un lato, fattori come l’incertezza geopolitica, l’aumento dei tassi di interesse e le lungaggini nella negoziazione con la Commissione Europea hanno influito negativamente sugli investimenti. Dall’altro, alcuni settori si confrontano con sfide di lungo periodo legate alla transizione ecologica e alla competitività internazionale.

L’industria italiana, tuttavia, mostra segnali di resilienza. I settori della moda e della meccanica, ad esempio, pur affrontando difficoltà, hanno dimostrato capacità di adattamento e competitività. La moda sta lavorando per ritrovare un equilibrio tra offerta e prezzi, mentre la meccanica continua a rappresentare il pilastro del sistema produttivo nazionale.

Le trasformazioni geopolitiche e le ripercussioni sulla la catena del valore

Un elemento chiave del contesto attuale è il cambiamento della geografia produttiva. Paesi come Marocco, Tunisia e Romania stanno emergendo come nuovi centri di produzione, grazie a costi competitivi e a politiche di attrazione degli investimenti. Questo fenomeno mette alla prova il modello italiano, basato su una rete diffusa di piccole e medie imprese altamente specializzate, ma offre anche opportunità per ripensare le catene del valore e favorire una maggiore integrazione con mercati strategici.

Siamo ancora un popolo di inventori e innovatori?

Fonte: MIMIT

La risposta è senz’altro affermativa, com’è possibile anche verificare visitando l’esposizione “L’Italia dei Brevetti – Invenzioni e Innovazioni di successo” allestita a Roma presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (aperta nei fine settimana fino al 2 marzo 2025) per rendere omaggio ai 550 anni dalla pubblicazione del primo “Statuto dei Brevetti”, ad opera della Repubblica di Venezia (1474), e ai 140 anni dall’istituzione dell’Ufficio Brevetti dello Stato Italiano (1884).

Foto: A. Calisti

Visitando le diverse sezioni della mostra – che affronta i temi della mobilità, dell’energia, del biomedicale, dell’agricoltura, della manifattura e dell’aerospaziale – possiamo trovare brevetti storici, ma anche invenzioni attuali che testimoniano una notevole vitalità dei nostri centri di eccellenza nella ricerca pubblica e privata. 

Si tratta di un patrimonio di idee e di conoscenza che può garantire all’industria italiana la capacità di incontrare e sostenere le tematiche di sostenibilità e le richieste dei mercati con soluzioni nuove e originali.

Un patrimonio simile lo si può approfondire anche con la lettura della pubblicazione “Le Innovazioni del prossimo futuro – Tecnologie prioritarie per l’industria”, realizzata dall’AIRI (Associazione Italiana Ricerca Industriale) e che, dal 1995, raggruppa le tecnologie che esercitano un forte impatto socioeconomico e influenzano la “catena del valore” dei sistemi produttivi.

Foto: A. Calisti

Il ruolo della consulenza nella gestione del cambiamento

In questo contesto dinamico e complesso, il settore della consulenza può svolgere un ruolo di massima importanza, in diverse aree, per aiutare le aziende a governare le trasformazioni in atto.

La consulenza può supportare le imprese nell’analisi delle tendenze di mercato e nella definizione di strategie a medio e lungo termine. Ad esempio, aiutare le aziende a identificare i settori più promettenti, a diversificare i mercati di sbocco e a ripensare i processi interni e le catene di fornitura per ottimizzare i costi e ridurre le criticità di approvvigionamento.

La transizione verso un modello di business sostenibile è una sfida decisiva per molti settori. La consulenza può supportare le imprese nella valutazione e nell’implementazione di tecnologie green, nell’adozione di processi circolari e nell’accesso ai finanziamenti europei dedicati alla sostenibilità.

Gli investimenti in tecnologie digitali e nella trasformazione verso Industria 5.0 sono fondamentali per mantenere la competitività. La consulenza può guidare le aziende nell’adozione di soluzioni avanzate come l’intelligenza artificiale, l’automazione e l’Internet delle Cose (IoT), promuovendo al contempo una maggiore integrazione tra uomo e macchina.

La trasformazione aziendale richiede un cambiamento culturale e organizzativo. I consulenti possono affiancare le imprese nella gestione del cambiamento, offrendo programmi di formazione e sviluppo per migliorare le competenze del personale e favorire una maggiore adattabilità.

In un periodo di incertezza economica, è essenziale migliorare l’efficienza operativa. La consulenza può supportare le aziende nell’analisi e nell’ottimizzazione dei processi produttivi, identificando opportunità per ridurre i costi senza compromettere la qualità.

Per essere efficace, il settore della consulenza deve adattarsi alle esigenze specifiche delle imprese. Questo significa adottare un approccio proattivo e personalizzato, basato su una conoscenza approfondita dei settori di riferimento e su una stretta collaborazione con gli imprenditori. Inoltre, è fondamentale investire nella formazione continua dei consulenti stessi, per garantire competenze aggiornate e una capacità di risposta alle sfide emergenti.

Conclusioni

Nonostante le difficoltà, l’industria italiana ha dimostrato più volte una capacità di adattamento e recupero e possiede tuttora importanti capacità di innovazione. La combinazione di politiche industriali efficaci, investimenti mirati e un supporto strategico da parte del settore della consulenza può aiutare le imprese a superare l’attuale congiuntura e a cogliere le opportunità offerte dai cambiamenti in corso.

Guardare al futuro con una visione chiara e una strategia ben definita è la chiave per trasformare le sfide in opportunità e per garantire un ruolo centrale dell’Italia nel panorama industriale globale.

  Andrea Calisti

Business Transformation Expert


BLUPEAK - Business is culture

Le 4 tappe del viaggio del cambiamento

Da marzo a dicembre 2024 BluPeak è stata ospite di Blulink in 4 webinar che hanno avuto come protagonista la Business Transformation. Il titolo del ciclo è “La meta del cambiamento… Un viaggio in 4 tappe”: la meta del cammino di trasformazione è stata concepita come la cima di una montagna, impegnativa eppure alla portata di tutti se per raggiungerla si usano adeguati strumenti culturali, cognitivi e metodologici.

Riuniamo qui di seguito la sintesi delle 4 tappe.

Ad aprire il percorso, col Campo base, è stato Stefano Setti, CEO&Founder di BluPeak Consulting, che ha quindi posto proprio i fondamentali della Business Transformation, ovvero avere una necessaria visione oltre il progetto.

Ma cosa BluPeak intende per Business, o Organizational, Transformation (che non è solo digital!)?

Stefano ci ha suggerito di partire dall’osservazione dell’azienda come un sistema complesso, assumendo quindi la visione da un punto più elevato. Ci ha poi indicato due parole chiave per meglio comprendere il senso di Business Transformation: Pain, inteso come dolore organizzativo ovviamente, ovvero spreco, disfunzione, non conformità, e Desire, da leggere come desiderio di miglioramento aziendale, quello a cui si arriva dopo la trasformazione. Ma, attenzione – ci ha detto Stefano – la trasformazione, parola polisemica e ricca di metafore, che in sé può essere passaggio, transizione, mutamento, cambiamento, guado, trasmutazione, attraversamento, metamorfosi, deve essere guidata senza mai perdere di vista la centralità della persona, la resilienza e la sostenibilità, tutti e tre concetti molto diffusi, troppo, forse abusati, ma che non per questo abbiamo paura di usare.

E di metafore, noi di BluPeak facciamo un uso quotidiano: per George Lakoff, sono il principale meccanismo mentale attraverso cui noi comprendiamo concetti astratti e mettiamo in atto ragionamenti astratti; per Stefano Calabrese sono meccanismi cognitivi che consentono all'individuo di conoscere il nuovo attraverso il noto, l’astratto mediante il concreto, il generale attraverso il particolare.

Alcune metafore a cui siamo particolarmente legati, per la loro potente e concreta efficacia esplicativa, sono quella del tappeto volante, della costellazione, del guado.

Tornando a rispondere alla domanda iniziale – Cos’è per BluPeak la Business Transformation? – Stefano ci parla di capacità (ovvero avere la visione) di combinare, integrare, unire i puntini (ecco perché la metafora della costellazione), ancor meglio di unire i puntini giusti di un grande mare di saperi. Cosa che è appannaggio di organizzazioni di ogni dimensione e di ogni settore merceologico.

Infatti proprio per poter parlare a tutti, abbiamo individuato un modello trasversale che si basa su 5 aree di impatto, che rappresentiamo con l’immagine dell'uomo vitruviano.

I saperi che noi consideriamo al servizio della Business Transformation sono: Project Management, Business Analysis, Agile Mindset, Enterprise Management, Risk Management, Power Skill, Change Management, Innovation Management, Knowledge Management, ritenendo che, in un percorso di trasformazione organizzativa, tali saperi debbano essere convenientemente armonizzati.

A supporto di ciò, alcuni robusti riferimenti culturali sono pensatori come Edgar Morin, che inventò il neologismo francese Reliance, (combinazione di relation e alliance, relazione e alleanza), ovvero l’arte di rimettere tutto insieme, propria della complessità; o Peter Senge, col suo concetto di Learning organization che è, soprattutto, il concetto culturale dell’imparare dagli errori e dai fallimenti. Ancora, un gigante che Stefano ha segnalato è Edgar Schein, che ha parlato proprio di cultura organizzativa, e infine Howard Gardner, grande psicologo cognitivista americano che ci ha aiutato a capire cosa vuol dire cambiare.

Riprendendo la metafora del tappeto volante, Stefano ha concluso che la trasformazione può intendersi come il partire da un punto e raggiungerne un altro ma elevandoci, sollevando lo sguardo per non correre il rischio di restare ancorati al ground, ovvero a un terreno che può presentarsi accidentato, pieno di ostacoli e di insidie. Per collocarsi a un giusto livello potrebbe essere utile allenarsi a salire e scendere: salire per vedere e scendere per portare risultati pratici. Dunque ideale è “pensiero e azione” (thinking and acting), perché essere sconnessi da una visione è pericoloso.

 

Al Campo 1 ci ha accompagnati invece Luca Costa, Business Transformation Expert del Team BluPeak, parlando di “Resistenza o Resilienza? Change readiness e aspetti culturali nella gestione del cambiamento”.

Partendo dall’analisi delle parole chiave contenute nel titolo – resistenza, resilienza, cultura e change readiness – Luca ci ha portati alle dimensioni della change readiness (profonda comprensione del cambiamento da effettuare, cultura e leadership come forze condizionanti, consapevolezza di risorse e competenze a disposizione, aver talento nel trovare da sé nuove soluzioni) che hanno una ricaduta su “Learning Anxiety” e “Survival Anxiety” (rif: rielaborazione del modello di Kurt Lewin), ovvero le due forze opposte che si attivano nei processi di cambiamento.

Luca ha poi consigliato che un approfondimento delle strutture culturali di un’organizzazione (rif.: modello culturale di tre livelli di Edgar Schein) è basilare per vagliare le reazioni, di resistenza o di resilienza, che si producono grazie a determinate modalità nella guida al cambiamento.

L’interpretazione di un caso pratico, infine, ha supportato il percorso descritto da Luca che, in chiusura del suo intervento, ha fatto cenno anche alla fiducia e alla motivazione, come imprescindibili elementi nella change readiness.

Andrea Calisti, poi, ci ha guidati al Campo 2, con l’intervento “Risk Management e Compliance: garantire la continuità nel cambiamento”.

La premessa del suo intervento è stata: il rischio di insuccesso è indissolubilmente legato a qualsiasi progetto di cambiamento aziendale; i rischi, totali o parziali, che dovrebbero essere affrontati in via preventiva, possono essere annullati o quantomeno mitigati.

Ma cos'è il rischio? Secondo il PMBOK – la “bibbia” del Project Management – è un evento o una condizione che, se si verifica, ha effetto su almeno un obiettivo del progetto. Gli obiettivi possono includere ambito, tempi, costi e qualità. Dunque il rischio è associato ai concetti di pericolo e di probabilità

Le categorie dei rischi sono molteplici: interni (es.: attività dei concorrenti, costi delle materie prime e dei servizi, ecc.) ed esterni (es.: ciclo di vita e qualità del prodotto, rischi finanziari, ecc.), e in base alla visione dei rischi, possono essere industriali, regolatori o finanziari.

Compreso quindi il rischio, Andrea è passato a parlare del Risk Management, ovvero un processo che si sviluppa secondo il noto Ciclo di Deming (P-D-C-A) e che consente alle organizzazioni di identificare, analizzare e gestire i rischi; esso deve essere continuo, integrato nella cultura aziendale, deve coinvolgere e responsabilizzare i vari livelli dell’azienda ed esaminare la dimensione temporale del passato, del presente e del futuro.

Un passaggio fondamentale fatto da Andrea è stato poi quello sulle norme internazionali, in primis la ISO 9001:2015 sui sistemi di gestione qualità e la ISO 31000:2018, che riguarda il sistema di gestione dei rischi, fornisce delle linee guida e può essere applicata a qualsiasi tipo di organizzazione e di settore.

A fianco alle norme ci sono gli strumenti operativi, che permettono di fare una corretta analisi dei rischi: nati in passato nel mondo militare e poi sviluppatisi anche in ambiti civili, tra essi ci sono l’analisi RAMS (Reliability, Availability, Maintainability, Safety), la FMEA (Failure Modes & Effects Analysis) e la L.U.R. (Lista Unica dei Rischi).

E allora cosa avviene dopo aver gestito tutti i rischi? Andrea ci ha detto che ne n ricaviamo un ampio bagaglio di informazioni – le lesson learned – che non deve assolutamente essere trascurato: è fondamentale che diventi parte integrante della conoscenza aziendale da applicare ai progetti successivi, innescando così il processo di miglioramento continuo.

 

E infine, nella quarta tappa, La vetta, Dalia Vodice, Trainer e Coach del Team BluPeak, ha parlato della leadership esercitata quando è in atto un cambiamento organizzativo, inteso più ampiamente come cambiamento culturale, cambiamento di relazioni.

A fronte di un termine alquanto abusato e talvolta quindi svuotato di significato, Dalia ha subito chiarito che per BluPeak parlare di leadership ha ancora senso, a patto che si aggiunga un valore di esplorazione, ricerca, curiosità. L'idea della sua presentazione è stata infatti quella di esplorare con occhi curiosi le dinamiche tra le persone che accompagnano la trasformazione.

Dall’etimo di radice indoeuropea “leith” alle tante modalità di leadership che oggi sentiamo citate (la servant leadership di Robert Greenleaf, l’humble leadership di Edgar Schein, i sei stili di leadership di Daniel Goleman, solo per citarne alcuni), Dalia ha citato il Pulse of Profession 2023 del Project Management Institute dedicato alla relazione tra power skill e project success. Tra le prime quattro power skill considerate fondamentali dai circa 3500 professionisti del project management intervistati, c'è la collaborative leadership.

La collaborative leadership esplicita la capacità di prendere decisioni lavorando con gli altri oltre i confini fisici, mentali, organizzativi, aziendali, metodologici, per co-creare un percorso, visto o anche solo intuito da uno – un leader tipicamente – ma poi realizzato dal gruppo. Leadership collaborativa significa anche creare fiducia e ambiente sicuro, consci delle difficoltà che una trasformazione può portare con sé, significa responsabilizzare e far crescere le persone.

Talvolta però è il contesto esterno alla nostra trasformazione che ci disorienta. Viviamo in un mondo che sta passando dal modello VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity) al modello BANI (Brittle, Anxious, Nonlinear, Incomprehensible): quale che sia lo scenario in cui ci muoviamo, VUCA o BANI o entrambi, l’accountability nella leadership deve tenerne conto, riuscendo a ritrovare la bussola o riuscendo a muoversi senza risentirne.

Una volta arrivati in cima, infine, è giusto festeggiare, ci ha detto Dalia. Ma raggiunta la vetta e celebrato il traguardo, possiamo mettere un punto e andare a capo? La sua risposta è stata negativa: in verità il cammino non finisce, perché una buona leadership sa che la trasformazione va mantenuta in atto e il gruppo in essere, per rendere stabile ciò che è stato raggiunto con fatica e impegno.



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Il futuro dell’automotive: timori, incertezze, interrogativi

L’industria automotive europea sta attraversando un periodo di turbolenze che porterà inevitabilmente, anche per effetto delle scelte regolatorie dell’UE, a una trasformazione non solo di tipo tecnologico, ma anche del modello di business.

Un cambiamento epocale, sul quale questo articolo intende stimolare la riflessione.

Il contesto

Un vento gelido soffia sull’Europa, anzi per la precisione sull’industria automobilistica europea. Tra vendite non brillanti, crisi delle motorizzazioni elettriche, transizione ecologica e invasione dei modelli asiatici, anche quei costruttori, che fino a oggi sembravano immuni da situazioni critiche, si trovano a dover ragionare con tagli produttivi, possibili chiusure di stabilimenti, ridimensionamento degli organici.

Maggiolino Volkswagen

A questa emergenza continentale non sfugge neppure il modello industriale “Made in Germany”, come dimostrano gli annunci di Volkswagen sulle prospettive per il futuro, nei quali, oltre alla revisione del modello di relazioni sindacali, contrattualistica e welfare che per anni è stato un fiore all’occhiello dell’economia tedesca, si è ventilata la chiusura di siti produttivi (la prima esperienza del genere per il costruttore di Wolfsburg in 87 anni) e il licenziamento di personale.

Su questo scenario pesa anche la fine, annunciata per il 2035 (scadenza tuttora mantenuta), della possibilità di costruzione e commercializzazione nell’UE di autoveicoli con motori a combustione interna alimentati a benzina, gasolio e biocarburanti.

Ovviamente tale situazione non è immune da potenziali pesanti ripercussioni per i diversi costruttori, ma anche per i fornitori dell’indotto (tra i quali molte aziende sono eccellenze italiane che negli anni hanno saputo farsi apprezzare anche all’estero, conquistando importanti quote di mercato).

Stiamo inevitabilmente andando incontro a un’importante e dirompente trasformazione di un settore da sempre trainante per l’economia e fonte di ricerca e di innovazione tecnologica. L’automotive in Europa impiega circa 12 milioni di addetti (secondo ACEA - Associazione Costruttori Automobilistici Europei) e perciò a una trasformazione di business come quella citata non è consentito giungere impreparati.

le ragioni della crisi

Indagare le ragioni di un fenomeno così complesso e articolato non è semplice e, in alcuni casi, esse affondano le proprie radici in scelte tecnologiche e politiche fatte in decenni passati.

Lasciando al lettore la libertà di cimentarsi in ulteriori analisi, vorremmo suggerire alcune opportunità di approfondimento.

Innanzitutto, è opportuno ragionare sul bilanciamento domanda-offerta. Sebbene tra i costruttori ci siano stati e probabilmente ci saranno ancora fenomeni di aggregazione, il mercato continua a essere caratterizzato da un’abbondanza di marchi (spesso appartenenti a uno stesso costruttore) che offrono modelli basati su una medesima piattaforma costruttiva con il rischio di concorrenza interna, disorientamento del consumatore, difficoltà per i modelli nel costruirsi una propria immagine e una propria identità a misura di una definita e consistente fetta di pubblico. A questa offerta “ridondante” (e a volte “dissonante”) corrisponde una domanda che tende a contrarsi.

Il motivo di questa diminuzione della domanda andrebbe probabilmente ricercato anche negli orientamenti dei giovani e al loro atteggiamento verso le quattro ruote, rispetto a quello delle precedenti generazioni.

Negli anni ’70 e ’80, uno dei traguardi più ambiti dai boomer, raggiunta la maggiore età, era conseguire la patente di guida e, magari (complici i risultati scolastici), ambire a un’utilitaria usata, simbolo di una nuova libertà. Oggi l’interesse per la motorizzazione non sembra essere al primo posto tra quelli che animano le giovani generazioni e, se è vero che i giovani rappresentano i consumatori del futuro, oltre ad avere un peso sempre importante nelle decisioni e negli orientamenti di consumo delle famiglie, questo dovrebbe (o avrebbe dovuto) mettere in guardia gli specialisti del settore.

Topolino

Altro aspetto su cui vorremmo soffermarci, in parte già accennato, è quello emozionale. Fino a qualche anno fa, costruttori e carrozzieri erano in grado di concepire e realizzare modelli di massa “iconici”, automobili che, anche se destinate alla motorizzazione del cosiddetto ceto medio, sapevano colpire per estetica e funzionalità la sensibilità dei potenziali utenti e, con questo loro appeal, imporsi nel mercato.

Oggi assistiamo a una banalizzazione dell’estetica, che di fatto rende le autovetture simili tra loro al di là del marchio. Questa situazione, unita a un livello qualitativo e di allestimento/prestazioni pressoché equivalente per i modelli dei vari segmenti di mercato, non è più in grado di suscitare emozioni e indirizzare la scelta del compratore medio verso uno specifico modello e una determinata marca, creando le condizioni per diventare leader nel mercato.

Infine, una riflessione merita sicuramente la questione dei costi, sia di acquisto che di mantenimento di un’autovettura che, anche per una cosiddetta utilitaria, possono risultare elevati rispetto al potere di acquisto delle famiglie.

osservazioni su possibili soluzioni

Quali potrebbero essere, quindi, le vie per trovare una soluzione a questa congiuntura?

Gli ambiti sui quali focalizzeremo la riflessione portano a suggerire di ripensare il modello di utilizzo delle autovetture e a incoraggiare alleanze tecnologiche per la ricerca e l’innovazione.

Il modello più utile per il futuro, nell’ottica di un reciproco beneficio tra produttori e consumatori, sembra essere quello del “car as a service” e del “car sharing”. Più che all’acquisto del “bene automobile”, l’utente andrebbe indirizzato verso l’acquisto di mobilità (il più possibile sostenibile ed eventualmente per un utilizzo condiviso) attraverso, ad esempio, offerte di noleggio a breve, medio e lungo termine comprensive di servizi di assistenza per la manutenzione e di coperture assicurative.

Dal punto di vista dell’innovazione tecnologica, è certamente importante per i player di settore operare con un “campo largo” di alleanze.

Negli autoveicoli la presenza dell’elettronica è sempre più pervasiva, sia per la gestione di aspetti di funzionamento e prestazioni, sia per il cosiddetto “infotainment” e per la sicurezza. Per questo motivo è auspicabile che si creino o si incrementino alleanze tecnologiche tra i costruttori di autoveicoli e le aziende specializzate nello sviluppo di software, al fine di incoraggiare sinergie e produrre soluzioni in grado di imporsi all’attenzione del mercato.

La strategia delle alleanze tecnologiche vale anche per le motorizzazioni, ambito in cui dovrebbe svilupparsi (più di oggi) un’interlocuzione tra costruttori e aziende del settore Oil & Gas ed energetico, al fine di consentire lo sviluppo di soluzioni, sia dal punto di vista delle motorizzazioni che sotto il profilo degli impianti per la produzione e la distribuzione del combustibile se non alternative, almeno complementari all’elettrico (per esempio l’idrogeno).

Percorrendo queste e altre strade, che gli specialisti del settore sapranno certamente trovare, l’industria automotive potrà certamente non solo trasformarsi, ma rigenerarsi, recuperando competitività, capacità di autosostenersi senza incentivi esterni (che a lungo termine danneggiano il mercato) e redditività.

FIAT 500

Credit: Andrea Calisti

Evento: Mostra "Motori Capitale" - Fiera di Roma, 21-22 settembre 2024

Andrea Calisti

Business Transformation Expert


BLUPEAK - Business is culture

Fotografia&BluPeak

“Ci viene quello che c’è”: riflessioni in occasione della giornata mondiale della fotografia (19 agosto 2024)



La mia riflessione parte da un aneddoto vero.

A Reggio Emilia, tanti anni fa, alcuni decenni prima dei cellulari e delle macchinette automatiche per fototessere, c’era un famoso studio fotografico nella centrale via Emilia, punto di riferimento per chiunque avesse bisogno di foto per i documenti, oltre che per i matrimoni e gli altri eventi in cui un fotografo professionista era imprescindibile.

Un’anziana signora dovette rinnovare la foto per la carta d’identità, entrò in questo spazio sacro dalle luci soffuse, macchine già montate sui treppiedi e puntate sui fatidici sgabelli, dove il soggetto doveva accomodarsi e assumere la posa che il fotografo, burbero e sbrigativo sacerdote di questo tempio d’altri tempi, ti faceva assumere, tipicamente con spalle diagonalizzate alla Lilli Gruber e testa reclinata come le sue dita impostavano, usando il tuo mento come un joystick. Dopo la trepidante attesa dello sviluppo, il fotografo consegnò alla signora le foto. Guardandole, la signora disse al fotografo, in dialetto come si usava allora anche fra persone istruite (anche se ora lo traduco): «Come sono venuta brutta!»
E il fotografo, con schiettezza e sempre in dialetto, rispose: «Signora, ci viene quello che c’è!»

È proprio vero che in fotografia “ci viene quello che c’è”?

Io penso di no, ed è proprio questa illusione la trappola più affascinante e intrigante della fotografia: la foto non può essere la resa asettica di qualcosa che c’è, non è documentazione, è sempre lettura, una lettura unica, istantanea, fatta da un soggetto sempre interferente, manipolante e interpretante. Questo spazio meraviglioso e ambiguo ricorda quello dell’interpretazione musicale: la realtà fotografata sta alla foto come lo spartito sta all’interpretazione, che resta unica, irripetibile, non confondibile con nessuna altra e intrecciata con i fili della vita dell’interprete.

La diffusione dei cellulari, con i loro prodigiosi algoritmi aggiusta-tutto (che rappresentano davvero un miracolo di efficacia, che lascia ammirato chi ha imparato la fotografia misurando la luce con un esposimetro e scervellandosi nell’impostazione di tempi e diaframmi), ha amplificato questa illusione, quella di mostrare quello che c’è.

E probabilmente l’abitudine compulsiva a scattare immagini su immagini proiettate verso una condivisione social – alimentata dal “tanto non costa niente” e dalla citata sorprendente qualità tecnica – aggrava questa falsa cognizione di mostrare quello che c’è. Elio e le Storie tese, nel pezzo Lampo, hanno reso molto bene questa follia di scatti: “Con la tua digitale pixellata di pixel, moderna […] sai che mi hai davvero importunato con la dagherrotipia?"

"Billie Ray", di Maria Rivans

Tutto questo c'entra con il nostro mestiere? Io penso di sì, profondamente.

Che agiamo come formatori, o come consulenti, o come coach, come analisti per la comprensione dei bisogni, come leader di un team o di un progetto, noi facciamo continuamente fotografie, che in nessun caso possono mostrare quello che c’è. In questo nostro essere fotografi delle relazioni umane e delle organizzazioni nel cambiamento, siamo lettori e interpreti, interferiamo e interagiamo, perturbiamo, siamo parte del sistema che osserviamo. Ecco perché le antenne dell’etica devono essere sempre ben accese: il mito della neutralità non esiste (né, credo, sarebbe desiderabile): la nostra lettura rielabora sempre. E ringrazio perché è così!

Stefano Setti

CEO&Founder di BluPeak Consulting

Credit fotografico: Gabriella Caselli


BLUPEAK - Business is culture

Decreto attuativo Transizione 5.0: BluPeak è presente per la Formazione 5.0

BluPeak Consulting, essendo in possesso della certificazione di qualità in base alla norma internazionale Uni En ISO 9001:2015 per il settore EA 37, è tra i soggetti abilitati a erogare formazione, secondo le regole previste dal decreto attuativo del piano Transizione 5.0, il cui testo ufficiale, integrale e definitivo è stato diffuso alla fine di luglio 2024.







Art. 8: attività di formazione

Specificatamente, all’articolo 8 di tale decreto viene detto che “sono agevolabili le spese per attività di formazione del personale, erogate da soggetti esterni all’impresa, con riferimento a percorsi di durata non inferiore a 12 ore, anche nella modalità a distanza, che prevedano il sostenimento di un esame finale con attestazione del risultato conseguito”. Tali spese devono essere collegate a investimenti in beni strumentali, secondo quanto riportato nello stesso decreto.

Le materie

Le materie che possono essere oggetto della formazione sono:

 Foto: Matthias Böckel - Pixabay

1.      Attività di formazione finalizzate all’acquisizione o al consolidamento delle competenze nelle tecnologie rilevanti per la transizione energetica dei processi produttivi


 


Foto: Pete Linforth - Pixabay

2.      Attività di formazione finalizzate all’acquisizione o al consolidamento delle competenze nelle tecnologie rilevanti per la transizione digitale dei processi produttivi



Importante

Un modulo di almeno 4 ore deve trattare una delle seguenti materie:

  • Integrazione di politiche energetiche volte alla sostenibilità all’interno della strategia aziendale

  • Tecnologie e sistemi per la gestione e efficace dell’energia

  • Analisi tecnico-economiche per il consumo energetico, l’efficienza energetica e il risparmio energetico

  • Impiantistica e fonti rinnovabili (produzione e stoccaggio energie da fonti rinnovabili)

Un altro modulo, sempre di almeno 4 ore, deve trattare una delle seguenti materie:

  • Integrazione digitale dei processi aziendali

  • Cybersecurity

  • Business data analyitcs

  • Intelligenza artificiale e Machine learning


Differenze

Rispetto alla formazione associata al vecchio piano Industria 4.0 e alle sue evoluzioni, cambiano le materie oggetto di insegnamento: nel caso della Formazione 5.0 ci sono 24 ambiti di cui 12 relativi alla transizione digitale e 12 relativi alla transizione green.

Sono diverse, poi, le aliquote, che nel caso della Formazione 5.0 seguono quelle conseguite grazie agli investimenti per il risparmio energetico.

Altra differenza è che, mentre la Formazione 4.0 consentiva la docenza anche da parte di personale interno, nel caso della Formazione 5.0 i docenti devono essere esterni e qualificati.

Infine, differenza rilevante è che la Formazione 5.0 ammette all’incentivo anche le attività svolte dai titolari di impresa e dai soci lavoratori, esclusi invece dal precedente incentivo.

Conclusioni

Anche in questo passaggio, di considerevole importanza per il mondo delle organizzazioni, BluPeak c’è, pronta ad affiancare e a sostenere le aziende nei percorsi di miglioramento.

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