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La "middle technology trap", ovvero la trappola dell’innovazione in stallo

Secondo una recente analisi della Corte dei Conti, l’Italia si trova in una delicata fase economica in cui è essenziale ripensare il modello di sviluppo per evitare la cosiddetta “middle technology trap” e competere sia sui costi sia sull’innovazione. Come uscire da questa situazione?

Cos’è la middle technology trap

La "middle technology trap" (trappola della tecnologia intermedia) è un concetto che descrive la situazione in cui un Paese o un'azienda sono bloccati in una posizione tecnologica intermedia per cui non riesce più a competere con i concorrenti a basso costo, ma neppure a raggiungere i livelli di innovazione, produttività o sofisticazione tecnologica più avanzati.

Gli aspetti che caratterizzano la “middle technology trap” sono:

  • competitività limitata: dovuta agli alti costi di produzione, non sostenuti dall’innovazione tecnologica;

  • difficoltà a salire nella “catena del valore”, cioè a passare da settori a bassa intensità tecnologica verso quelli ad alto valore aggiunto;

  • dipendenza da tecnologie di importazione per cui invece di sviluppare innovazione internamente, si fa affidamento su tecnologie sviluppate all'estero, limitando la crescita della capacità industriale nazionale;

  • investimenti insufficienti in capitale umano e in ricerca e sviluppo.

Un’economia bloccata nella “middle technology trap” è in una posizione intermedia in termini di sviluppo tecnologico e produttivo:

  • non è competitiva in termini di costi (come i Paesi emergenti che hanno bassi costi di manodopera);

  • non è in grado di competere in termini di innovazione avanzata con i Paesi ad alta tecnologia, ad esempio USA, Germania, Corea del Sud).

Questa situazione ha diversi effetti negativi: bassi margini di profitto, stagnazione, dipendenza tecnologica, difficoltà ad attrarre investimenti.

Alcuni esempi

Esistono diversi esempi di Paesi che si trovano in una situazione di “middle technology trap”.

La Thailandia, pur avendo sviluppato una forte crescita economica in settori come l’automotive o la componentistica elettronica, dipende da tecnologie importate e imprese straniere (come Toyota o Samsung) per l’innovazione. Inoltre, resta legata a ruoli di subfornitura con bassa capacità di R&S interna.

La Malesia, pur avendo attratto investimenti stranieri in elettronica e semiconduttori, non ha costruito un ecosistema industriale in grado di perseguire l’innovazione in modo autonomo, con il rischio di non riuscire a evolvere verso un livello più elevato di ricerca e progettazione.

Il Messico è caratterizzato da insediamenti produttivi di grandi aziende straniere, ma il know how e la capacità di innovazione rimangono all’estero e non incoraggiano la capacità locale di innovazione e sviluppo tecnologico.

La situazione italiana

Secondo l’analisi della Corte dei Conti, la situazione dell’industria italiana, pur presentando criticità che disegnano un quadro a luci e ombre, ha ancora possibilità di evitare la “middle technology trap”.

La via per scongiurarla è investire in modo massiccio, strutturato e duraturo in ricerca, sviluppo e innovazione, anche utilizzando le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che ha dedicato a ricerca, sviluppo e innovazione circa il 10% delle risorse totali, pari a 19 miliardi di euro.

Le aree da presidiare maggiormente sono:

  • potenziare il capitale umano, ad esempio attraverso investimenti in borse di dottorato e sostegno ai giovani ricercatori, anche in collaborazione con il mondo delle imprese;

  • favorire la collaborazione tra mondo accademico e imprese, con l’obiettivo di creare o potenziare gli ecosistemi dell’innovazione diffusi sul territorio;

  • sviluppare settori prioritari emergenti, come l’intelligenza artificiale, la filiera dell’idrogeno e l’economia spaziale;

  • stimolare l’innovazione nelle imprese in termini di spesa e di orientamento alle tecnologie a maggiore intensità tecnologica (deep tech).

Foto di Pavel Danilyuk - PEXELS

i possibili rimedi

È fondamentale prevedere investimenti massicci e mirati sia nella ricerca di base sia nello sviluppo di tecnologie applicate, con particolare attenzione ai settori ad alta intensità di conoscenza e a forte potenziale di crescita. Tali investimenti devono essere orientati a rafforzare l’autonomia tecnologica del Paese, riducendo la dipendenza da forniture estere in ambiti critici come l’intelligenza artificiale, i semiconduttori, le biotecnologie e l’energia.

Foto di RDNE Stock project - PEXELS

Parimenti è opportuno incentivare la proprietà intellettuale attraverso la promozione della registrazione di brevetti, marchi e know-how, incentivando le aziende che innovano.

L’esperienza di Paesi come Corea del Sud dimostra che è possibile uscire dalla trappola attraverso pianificazioni integrate, dove il settore pubblico e quello privato collaborano in modo sistemico e coordinato. In questi casi, i governi hanno svolto un ruolo attivo non solo nel finanziare la ricerca, ma anche nel creare ecosistemi favorevoli all’innovazione, supportando le startup, incentivando le partnership tra imprese e università e facilitando l’accesso ai mercati internazionali.

Un elemento imprescindibile per il successo è la promozione di una cultura nazionale dell’innovazione, che valorizzi la creatività, la sperimentazione e la propensione al rischio. Serve costruire ambienti dove il fallimento non sia stigmatizzato, ma considerato parte integrante del processo di apprendimento e crescita tecnologica. Solo attraverso un cambio di mentalità diffuso, sostenuto da investimenti in capitale umano, formazione avanzata e attrazione di talenti, un Paese può realmente ambire a scalare la frontiera tecnologica globale.

In sintesi, uscire dalla “middle technology trap” richiede molto più che singoli interventi: è necessario introdurre una strategia sistemica, sostenuta nel tempo, che combini visione politica, investimenti, collaborazione pubblico-privato e sviluppo culturale orientato all’innovazione.

Credit foto di copertina: Pixabay

 

  Andrea Calisti

Business Transformation Expert


BLUPEAK - Business is culture

Calcolo quantistico e business transformation

Il calcolo quantistico esce, lentamente ma con continuità, dalla dimensione dei laboratori di ricerca e promette di trasformare diversi settori industriali (farmaceutica, finanza, energia, telecomunicazioni per citarne alcuni) con un notevole effetto economico. Uno strumento di business transformation che apre scenari di grande impatto e interesse.

Prossimamente, quando parleremo con gli addetti ai lavori del settore informatico dovremmo abituarci a utilizzare nuovi termini – qubit, bit quantistico: prove di una prepotente rivoluzione nel campo della potenza dei sistemi di calcolo.

La rivoluzione del calcolo quantistico

Gerd Altmann - Pixabay

Quando si parla di “Computer Quantistici” ci si riferisce a sistemi di calcolo basati sui principi della meccanica quantistica. A differenza di quelli classici, che utilizzano il codice binario e i bit (che possono assumere valore 0 o 1), i computer quantistici impiegano i qubit (quantum bit), che possono trovarsi in una sovrapposizione degli stati 0-1 o una combinazione di entrambi contemporaneamente.

In un computer quantistico possono aversi diverse modalità di funzionamento.

Sovrapposizione: un qubit può rappresentare sia 0 che 1 nello stesso momento, aumentando la potenza di calcolo potenziale.

Entanglement (intreccio): due o più qubit possono essere correlati tra loro in modo che lo stato di uno influenzi istantaneamente quello dell'altro; il fenomeno permette calcoli paralleli su larga scala.

Interferenza quantistica: combinazione che serve a rafforzare le probabilità dei risultati corretti e a cancellare quelli errati durante i calcoli.

Questa tecnologia consente lo svolgimento di molteplici calcoli in parallelo, con una velocità di elaborazione decisamente più elevata rispetto a quella dei computer finora utilizzati. In questo modo sono possibili analisi, simulazioni e previsioni complesse e, in alcuni casi, non realizzabili fino a oggi.

Questa situazione rappresenta ciò che qualcuno chiama la “seconda rivoluzione quantistica” che consente l’applicazione pratica della “prima rivoluzione”, basata sulle teorie di Einstein.

Gerd Altmann - Pixabay

I Computer Quantistici

come strumento di business transformation

La sperimentazione dei computer quantistici nasce agli inizi degli anni 2000. Oggi, dopo un quarto di secolo, questi sistemi stanno, lentamente ma inesorabilmente, uscendo dai laboratori ed entrano nel mondo dell’industria e dei servizi.

Nel farmaceutico, i computer quantistici possono garantire supporto alla ricerca e allo sviluppo di nuovi farmaci tramite simulazioni molecolari e chimiche, progettazione di molecole biologiche avanzate, simulazioni di reazioni complesse. L’obiettivo è di velocizzare i processi di analisi e sviluppo.

In ambito finanziario, le simulazioni quantistiche portano a migliorare la modellazione dei mercati e delle loro fluttuazioni, le analisi di rischio e l’ottimizzazione dei portafogli di investimento.

Nel settore dell’energia, l’impiego dei computer quantistici può migliorare notevolmente l’efficienza nella gestione delle reti e l’integrazione delle fonti rinnovabili, ottimizzando la gestione della variabilità dei consumi e della produzione.

Nelle telecomunicazioni, importante è il contributo della crittografia quantistica alla sicurezza dei dati. Inoltre, è possibile migliorare la gestione del traffico dati evitando fenomeni di congestione delle reti e di conseguenza migliorando velocità e qualità dei servizi.

Potenziale e sfide del calcolo quantistico

Gerd Altmann - Pixabay

Il valore aggiunto creato dall’impiego del calcolo quantistico è ancora oggetto di studio. Diverse stime riportano però percentuali e sfide decisamente interessanti.

Nel settore farmaceutico e chimico, con l’impiego di questa tecnologia, si prevede una riduzione dei tempi di sviluppo che va dal 12% al 30%, con un risparmio di miliardi di dollari.

Nel campo energetico, la riduzione dei costi di produzione utilizzando le fonti rinnovabili potrebbe oscillare tra il 20 e il 30%, mentre in ambito finanziario viene ipotizzato un incremento della redditività degli investimenti tra il 10 e il 20%; stessa percentuale per la riduzione dei danni economici derivanti da violazioni dei sistemi informatici.

In definitiva ci sarà un effetto tangibile sull’andamento dell’economia a livello mondiale, grazie a innovazione e incremento dell’efficienza produttiva.

Certamente il potenziale di questa nuova tecnologia è notevole, ma altrettanto importanti sono le sfide da affrontare, non solamente dal punto di vista tecnologico.

Le organizzazioni dovranno fare proprio il modo di gestire questo tipo di apparati, evitando le perturbazioni (ad esempio le variazioni di temperatura e le vibrazioni) che possono condizionarne il funzionamento. Anche gli hardware e i software impiegati da questo tipo di tecnologia presentano delle specificità rispetto a quelli che conosciamo oggi, così come i linguaggi di programmazione.

Si renderà necessaria la creazione di specifiche professionalità o l’evoluzione delle figure professionali che attualmente operano nell’ambito dell’informatica, riportando nuovamente alla ribalta il tema della gestione e della diffusione della conoscenza in ambito non solo accademico, ma anche aziendale.

Lo scenario è complesso e articolato, ma il viaggio che si prospetta è davvero rivoluzionario, come quelli intrapresi nel passato dai navigatori che hanno permesso la conoscenza e l’esplorazione di nuovi continenti.

 

Credit foto di copertina: Pete Linforth - Pixabay

 

  Andrea Calisti

Business Transformation Expert


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Prodotti iconici, innovazione e diversificazione: la chiave del successo

In un mondo sempre più dinamico e competitivo, le aziende devono sapersi distinguere con unicità di prodotto e capacità di adattamento. Creare un articolo che passi alla storia come “iconico” non è solo un modo per consolidare il proprio marchio, ma anche una strada verso innovazione, sostenibilità e diversificazione.

È il caso di Pennelli Cinghiale: azienda di successo da 80 anni che nasce dalla combinazione di tradizione e visione futura, valori che ogni impresa dovrebbe abbracciare per prosperare nel tempo.

Prodotto simbolo come fondamento del marchio

Come dice l’aggettivo stesso, “iconico” non è semplicemente un oggetto di consumo, ma un simbolo che incarna valori, tradizione e identità di un marchio. Esso è riconoscibile, distintivo e capace di evocare emozioni nel consumatore, creando un legame con l’azienda che supera la pura funzionalità del prodotto stesso.

Logo da Wikipedia

L’esempio di cui parliamo qui è quello di Pennelli Cinghiale, azienda italiana che ha trasformato un semplice utensile in un emblema di qualità e tradizione con un successo che dura tuttora. La scelta di questo nome, che reca in sé una forte suggestione, è dovuta nel 1945 al fondatore Alfredo Boldrini che lo registrò come marchio, ponendo le basi per la costruzione di un percorso capace di connotare i prodotti e l’azienda negli anni. Il cinghiale, simbolo di forza e robustezza, rappresenta infatti non solo l’articolo, ma anche l’azienda stessa, conferendole un’identità unica e riconoscibile.

Il prodotto diventa quindi il cuore pulsante del brand, un riferimento per i clienti e un motore di crescita. Affinché questo processo si mantenga nel tempo, però, è necessario un impegno costante per conservare la qualità del prodotto, per adattarlo alle esigenze di un mercato in continua evoluzione e per affiancarlo con altre proposte.

Innovazione e sostenibilità come spinta alla crescita

Se creare un prodotto simbolo è il primo passo, innovarlo costantemente è essenziale per mantenerne la rilevanza e per la competitività dell’azienda. L’innovazione deve essere intesa come un processo che coinvolge anche i processi produttivi, i modelli di business e l’esperienza del cliente.

Pennelli Cinghiale ha saputo adattarsi ai mutamenti del mercato, diversificando la propria offerta e introducendo, ad esempio, accanto ai pennelli, le vernici ecosostenibili.

Gli investimenti in ricerca e sviluppo e l’automazione dei processi hanno permesso di consolidare e migliorare la qualità dei prodotti e il loro impatto ambientale, rafforzando la fiducia dei consumatori.

Tale approccio dimostra che la sostenibilità non è solo un valore etico, ma una leva strategica per distinguersi e avere successo presso i consumatori.

Le aziende non possono più ignorare la sostenibilità, resa indispensabile dalla crescente consapevolezza ambientale e da normative sempre più severe. Questo implica scelte mirate, come l’uso di energie rinnovabili e materiali riciclati, e soluzioni per ridurre l’impatto ambientale. Sebbene necessario, il passaggio alla sostenibilità è complesso, soprattutto per le PMI, a causa di costi elevati e normative articolate. Tuttavia, investire in un modello sostenibile è fondamentale per mantenere la competitività, attrarre clienti sensibili al tema e rafforzare l’immagine aziendale, garantendo un vantaggio duraturo.

Diversificazione: esplorare con coraggio nuovi mercati e settori

Diversificare il portafoglio di prodotti e servizi è un altro elemento chiave per la resilienza e la crescita aziendale. In un contesto di rapidi cambiamenti e di incertezza, affidarsi a un unico prodotto o settore può rappresentare un rischio significativo. Diversificare vuol dire anche sperimentare nuove collaborazioni e sinergie con altre aziende. Le partnership possono portare a soluzioni innovative e a maggiore efficienza operativa, oltre che a rafforzare la rete di relazioni all’interno del settore. La diversificazione geografica consente poi di gestire gli eventuali rischi legati alle situazioni geopolitiche, oggi più che mai presenti.

Anche in questo caso Pennelli Cinghiale ha saputo trovare la strada, entrando nel settore delle vernici e aprendosi ai mercati esteri, anche fuori dall’Europa.

Investire sul marchio: un asset che può essere strategico

In conclusione, un brand forte non consente solo di vendere prodotti, ma trasmette un’identità, una storia e un valore che vanno oltre il semplice acquisto.

Pennelli Cinghiale, che ha recentemente registrato lo spot pubblicitario degli anni ’80 come marchio multimediale (ossia, in base a una recente normativa europea, composto da una sequenza di immagini e suoni), è un chiaro esempio di questa situazione. Grazie alla scelta di sostenere e promuovere il marchio e di investire nello stesso tempo su prodotti e mercati, l’azienda rappresenta oggi un riferimento nel proprio settore.

Il marchio è quindi un vero e proprio asset strategico, capace di generare valore economico e di differenziare l’azienda dalla concorrenza. Per le PMI, l’investimento sul marchio rappresenta un impegno, spesso una sfida, ma anche un’opportunità per rafforzare la posizione sul mercato e attrarre nuovi clienti.

 

  Andrea Calisti

Business Transformation Expert


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Industria italiana e congiuntura economica: trasformazioni e opportunità

Negli ultimi mesi, l’industria italiana ha vissuto un calo consecutivo della produzione industriale, sollevando preoccupazioni su una possibile crisi strutturale. Si tratta di una situazione da analizzare con attenzione per comprenderne le cause, i possibili sviluppi e il ruolo decisivo che il settore della consulenza può svolgere nel supportare le aziende a “navigare” attraverso le sfide attuali e future.

Questa crisi è strutturale?

Secondo Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo intervistato dal “Corriere della Sera”, l’attuale calo della produzione non rappresenta una crisi di sistema, ma piuttosto un intreccio tra dinamiche cicliche e difficoltà strutturali in alcuni settori specifici, come l’automotive e gli elettrodomestici.

Da un lato, fattori come l’incertezza geopolitica, l’aumento dei tassi di interesse e le lungaggini nella negoziazione con la Commissione Europea hanno influito negativamente sugli investimenti. Dall’altro, alcuni settori si confrontano con sfide di lungo periodo legate alla transizione ecologica e alla competitività internazionale.

L’industria italiana, tuttavia, mostra segnali di resilienza. I settori della moda e della meccanica, ad esempio, pur affrontando difficoltà, hanno dimostrato capacità di adattamento e competitività. La moda sta lavorando per ritrovare un equilibrio tra offerta e prezzi, mentre la meccanica continua a rappresentare il pilastro del sistema produttivo nazionale.

Le trasformazioni geopolitiche e le ripercussioni sulla la catena del valore

Un elemento chiave del contesto attuale è il cambiamento della geografia produttiva. Paesi come Marocco, Tunisia e Romania stanno emergendo come nuovi centri di produzione, grazie a costi competitivi e a politiche di attrazione degli investimenti. Questo fenomeno mette alla prova il modello italiano, basato su una rete diffusa di piccole e medie imprese altamente specializzate, ma offre anche opportunità per ripensare le catene del valore e favorire una maggiore integrazione con mercati strategici.

Siamo ancora un popolo di inventori e innovatori?

Fonte: MIMIT

La risposta è senz’altro affermativa, com’è possibile anche verificare visitando l’esposizione “L’Italia dei Brevetti – Invenzioni e Innovazioni di successo” allestita a Roma presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (aperta nei fine settimana fino al 2 marzo 2025) per rendere omaggio ai 550 anni dalla pubblicazione del primo “Statuto dei Brevetti”, ad opera della Repubblica di Venezia (1474), e ai 140 anni dall’istituzione dell’Ufficio Brevetti dello Stato Italiano (1884).

Foto: A. Calisti

Visitando le diverse sezioni della mostra – che affronta i temi della mobilità, dell’energia, del biomedicale, dell’agricoltura, della manifattura e dell’aerospaziale – possiamo trovare brevetti storici, ma anche invenzioni attuali che testimoniano una notevole vitalità dei nostri centri di eccellenza nella ricerca pubblica e privata. 

Si tratta di un patrimonio di idee e di conoscenza che può garantire all’industria italiana la capacità di incontrare e sostenere le tematiche di sostenibilità e le richieste dei mercati con soluzioni nuove e originali.

Un patrimonio simile lo si può approfondire anche con la lettura della pubblicazione “Le Innovazioni del prossimo futuro – Tecnologie prioritarie per l’industria”, realizzata dall’AIRI (Associazione Italiana Ricerca Industriale) e che, dal 1995, raggruppa le tecnologie che esercitano un forte impatto socioeconomico e influenzano la “catena del valore” dei sistemi produttivi.

Foto: A. Calisti

Il ruolo della consulenza nella gestione del cambiamento

In questo contesto dinamico e complesso, il settore della consulenza può svolgere un ruolo di massima importanza, in diverse aree, per aiutare le aziende a governare le trasformazioni in atto.

La consulenza può supportare le imprese nell’analisi delle tendenze di mercato e nella definizione di strategie a medio e lungo termine. Ad esempio, aiutare le aziende a identificare i settori più promettenti, a diversificare i mercati di sbocco e a ripensare i processi interni e le catene di fornitura per ottimizzare i costi e ridurre le criticità di approvvigionamento.

La transizione verso un modello di business sostenibile è una sfida decisiva per molti settori. La consulenza può supportare le imprese nella valutazione e nell’implementazione di tecnologie green, nell’adozione di processi circolari e nell’accesso ai finanziamenti europei dedicati alla sostenibilità.

Gli investimenti in tecnologie digitali e nella trasformazione verso Industria 5.0 sono fondamentali per mantenere la competitività. La consulenza può guidare le aziende nell’adozione di soluzioni avanzate come l’intelligenza artificiale, l’automazione e l’Internet delle Cose (IoT), promuovendo al contempo una maggiore integrazione tra uomo e macchina.

La trasformazione aziendale richiede un cambiamento culturale e organizzativo. I consulenti possono affiancare le imprese nella gestione del cambiamento, offrendo programmi di formazione e sviluppo per migliorare le competenze del personale e favorire una maggiore adattabilità.

In un periodo di incertezza economica, è essenziale migliorare l’efficienza operativa. La consulenza può supportare le aziende nell’analisi e nell’ottimizzazione dei processi produttivi, identificando opportunità per ridurre i costi senza compromettere la qualità.

Per essere efficace, il settore della consulenza deve adattarsi alle esigenze specifiche delle imprese. Questo significa adottare un approccio proattivo e personalizzato, basato su una conoscenza approfondita dei settori di riferimento e su una stretta collaborazione con gli imprenditori. Inoltre, è fondamentale investire nella formazione continua dei consulenti stessi, per garantire competenze aggiornate e una capacità di risposta alle sfide emergenti.

Conclusioni

Nonostante le difficoltà, l’industria italiana ha dimostrato più volte una capacità di adattamento e recupero e possiede tuttora importanti capacità di innovazione. La combinazione di politiche industriali efficaci, investimenti mirati e un supporto strategico da parte del settore della consulenza può aiutare le imprese a superare l’attuale congiuntura e a cogliere le opportunità offerte dai cambiamenti in corso.

Guardare al futuro con una visione chiara e una strategia ben definita è la chiave per trasformare le sfide in opportunità e per garantire un ruolo centrale dell’Italia nel panorama industriale globale.

  Andrea Calisti

Business Transformation Expert


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Proteggere i prodotti dell’ingegno, motore del business aziendale

Il tema della protezione della proprietà intellettuale è di fondamentale importanza al fine di garantire la continuità e l’evoluzione del business aziendale; le aziende che non investono in innovazione, infatti, sono condannate prima o poi a scomparire o a un ruolo marginale nel mercato. Queste considerazioni vogliono stimolare una riflessione sul tema e fornire alcune nozioni di base per orientarsi.


Dallo scooter al panino: gli “inciampi” di alcune grandi aziende

Recentemente sono state pubblicate due notizie che hanno coinvolto importanti aziende, con una posizione di primo piano nei rispettivi settori di attività.

La Corte di Cassazione ha dichiarato «inammissibile» il ricorso di Peugeot Motocycles contro una sentenza della Corte d'Appello di Milano che aveva stabilito la violazione di un brevetto europeo di Piaggio in riferimento al veicolo Peugeot Metropolis e al modello Piaggio MP3. L'entità del danno che Peugeot Motocycles Italia dovrà risarcire a Piaggio, per la quale è ancora pendente un ricorso della marca francese, ammonta a oltre 1 milione di euro.

 

Quasi contemporaneamente è stato reso noto che McDonald's ha perso la possibilità di utilizzare in esclusiva la denominazione e il marchio Big Mac per i suoi hamburger di pollo, poiché è venuta meno al requisito di impiegare il marchio con continuità per cinque anni consecutivi.  Così oggi qualsiasi chiosco potrà vendere panini Big Mac al pollo senza timore di incorrere in controversie legali.

Si tratta di due esempi che riguardano aziende e settori diversi, ma che mettono in luce quanto importante sia, soprattutto nel mondo di oggi e nel mercato globale, proteggere e valorizzare i prodotti dell’ingegno, che consentono alle aziende di sviluppare e, a volte, di far evolvere il proprio modello di business.

Questa dinamica l’aveva già perfettamente chiara Guglielmo Marconi (di cui si celebrano i 150 anni dalla nascita, già ricordati in un altro articolo creerò il link) il quale, prima che a dare rilevanza strettamente accademica e pubblicità alle proprie scoperte, ha mirato a proteggerle con una serie di brevetti.

 Alcuni concetti di base per orientarsi

Per comprendere le dinamiche che ruotano intorno al tema della protezione della proprietà intellettuale, è opportuno chiarire alcuni strumenti di tutela.

Il ‘brevetto’ è un documento, rilasciato a fronte di una domanda circostanziata, che riconosce al beneficiario il diritto esclusivo – limitato nel tempo – di poter disporre e trarre vantaggi economici da una propria idea originale. Il brevetto è applicabile a diversi campi dell’attività accademica e industriale e risponde a specifici requisiti che ne garantiscono la validità: novità, originalità (risultato di un’attività inventiva) e industrialità.

  • Novità: un’invenzione è considerata nuova se non è già compresa nello stato dell’arte della tecnica, cioè in tutto ciò che è pubblico e accessibile (in Italia o in altri Paesi) prima della data di deposito della domanda di brevetto. La diffusione può realizzarsi ad esempio mediante divulgazione scritta o orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo (es.: la pubblicazione dei concetti sull’invenzione in un giornale scientifico, la presentazione in una conferenza, l’utilizzo in ambito commerciale, l’esposizione in un catalogo).

  • Attività inventiva: il requisito è rispettato se, per una persona esperta del settore, la scoperta non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica. L’attributo della non ovvietà intende assicurare che i brevetti siano concessi solo a risultati che derivano da un processo inventivo o creativo.

  • Industrialità: l’idea oggetto di brevetto deve avere un’applicazione in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola. L’invenzione non può pertanto essere frutto di un semplice processo intellettuale, ma deve essere tecnicamente realizzabile e capace di condurre a un risultato immediato nell’ambito della tecnica industriale generando effetti pratici.

Ci sono poi alcuni prodotti dell’ingegno che non sono brevettabili, come:

  • le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici;

  • i metodi per il trattamento chirurgico, terapeutico o di diagnosi del corpo umano o animale;

  • i piani, i principi e i metodi per attività intellettuale, per gioco o per attività commerciali;

  • i programmi per elaboratori (software) in quanto tali, per i quali vale comunque il diritto d’autore;

  • le presentazioni di informazioni;

  • le razze animali e alcuni procedimenti biologici per l’ottenimento delle stesse;

  • le varietà vegetali.

Il brevetto è applicabile, nei limiti dei requisiti sopra elencati, a qualsiasi invenzione industriale, ma anche ai cosiddetti “modelli di utilità”, cioè a modifiche di oggetti noti come, per esempio, macchinari o parti di essi, strumenti, utensili, ecc., che conferiscono loro una particolare efficacia o una maggiore utilità o un’aumentata comodità d'uso.

Il marchio è un segno che consente a un’azienda di essere identificata o distinguere i propri prodotti o servizi da quelli delle aziende concorrenti. Un marchio può contenere, ad esempio, disegni, immagini, parole o lettere e avere diverse combinazioni di colore. Possono essere compresi in un marchio anche suoni e forme di prodotti o packaging, tonalità cromatiche o loro combinazioni.

Affinché un marchio sia registrabile deve rispondere ai seguenti requisiti:

  • novità: il marchio deve essere nuovo, ossia non avere caratteri di identità o similitudine con marchi già depositati, con segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi del commercio, come, a titolo esemplificativo: ditta, denominazione, ragione sociale, insegna o nome a dominio aziendali;

  • capacità distintiva: il marchio non deve identificarsi con la denominazione generica del prodotto o del servizio che contraddistingue o con altri segni distintivi già utilizzati da altri;

  • liceità: il marchio depositato non deve essere contrario all'ordine pubblico e al buon costume; non deve ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o dei servizi; non deve costituire violazione di un altrui diritto di autore, di proprietà industriale o altro diritto esclusivo di terzi.

 Brevettare e registrare sì, ma cum grano salis

Il deposito di una domanda di brevetto o la registrazione di un marchio protegge il detentore dall’utilizzo dell’idea e del logo da parte di altri, ma prima di avventurarsi nel deposito di una domanda di brevetto o nella richiesta di registrazione di un marchio è opportuno tenere presenti alcune considerazioni.

Innanzitutto, il brevetto non ha una durata infinita. L’esclusiva per lo sfruttamento economico dell’idea è concessa al titolare del brevetto per 20 anni non rinnovabili, dopo di che qualsiasi soggetto ha il diritto di utilizzare il brevetto senza essere esposto al rischio di controversie legali. Per questo, se lo sfruttamento dell’invenzione ha un orizzonte temporale più lungo, meglio optare per la strategia del “segreto industriale”.

Couleur - Pixabay

Emblematica è al riguardo la formula della Coca Cola, mai brevettata ma custodita gelosamente dall’azienda che provvede direttamente presso la sede di Atlanta alla preparazione dell’ingrediente base e al suo invio agli stabilimenti di imbottigliamento sparsi nel mondo, dove avviene la diluizione e l’aggiunta di gas.

Altro aspetto, spesso sottovalutato, è che il brevetto non fornisce una protezione automatica. In caso di sospetta violazione è responsabilità dell’azienda che si sente danneggiata intentare una causa legale verso il presunto “contraffattore”, come dimostra il caso Piaggio-Peugeot.

Infine, la validità di un brevetto è legata all’area geografica per cui si richiede la registrazione dell’idea. Esistono brevetti italiani, europei, mondiali o limitati a determinati Paesi.

Poiché i tempi e soprattutto i costi di deposito del brevetto dipendono dai Paesi per i quali si chiede la protezione dell’idea, è opportuno aver chiaramente definito una strategia commerciale e di orientamento al mercato, prima di presentare la domanda, ricordando comunque che l’area geografica di validità di un brevetto può essere estesa entro precisi termini temporali dalla presentazione della prima domanda (in altre parole, un brevetto valido in Italia può essere successivamente esteso ai paesi dell’UE).

Da non dimenticare infine che il mantenimento di un brevetto nei 20 anni di validità è subordinato al pagamento di tasse annuali.

Jürgen Polle - Pixabay

Riguardo ai marchi valgono più o meno le medesime considerazioni fatte per i brevetti. Una differenza importante è che la protezione e l’esclusivo utilizzo fornito dalla registrazione di un marchio possono essere rinnovati periodicamente senza limiti di tempo. Come accaduto a Mc Donald’s, però, il marchio deve essere utilizzato. Il non utilizzo per un periodo di cinque anni, come già detto, comporta la decadenza dei diritti di registrazione e di uso esclusivo.

In fase di valutazione della domanda di registrazione di un marchio, le aziende che ritengono di essere vittima di abuso possono presentare istanza di opposizione alla registrazione.



È quanto accaduto alla Cantina Muggittu, azienda vinicola sarda, che ha vinto una battaglia legale contro la multinazionale austriaca titolare del marchio Red Bull, che l’accusava di "violazione del marchio e di concorrenza sleale" per aver copiato il proprio marchio.

La contestazione del colosso dell'energy drink, in opposizione alla richiesta di registrazione del marchio da parte del produttore di vino, è stata respinta dalla Direzione Generale per la tutela della proprietà industriale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, così il logo potrà continuare a essere usato per i vini Muggittu Boeli.

 Brevetti e marchi: testimonial della capacità di innovazione e della forza di un’azienda

La capacità di innovazione è da sempre segno della vitalità di un’azienda, come di un “sistema Paese”. È nei centri di ricerca e sviluppo che si crea la capacità competitiva e si pongono le premesse per la creazione di prodotti di successo in grado di soddisfare le esigenze dei diversi mercati e di garantire i volumi produttivi in grado di far prosperare le fabbriche.

Allo stesso modo, il segno distintivo con cui un prodotto è presente nel mercato (il marchio o logo, per intenderci) è uno strumento in grado di attrarre e fidelizzare il cliente creando a volte uno status; per dare un’idea, pensiamo al noto logo della mela.

Fondamentale diventa quindi per le aziende individuare i settori in cui concentrare la ricerca e programmare adeguati investimenti per sostenere le attività e le figure a essa collegate.

La spinta all’innovazione è il carburante che fornisce la giusta propulsione al business aziendale e gli permette di consolidarsi nelle aree di forza e di svilupparsi verso nuovi orizzonti.

Non investire in ricerca e innovazione equivale a condannarsi a una posizione di marginalità nel mercato e, prima o poi, a scomparire.

Foto di copertina: Pete Linforth - Pixabay

Andrea Calisti

Business Transformation Expert

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DA GUGLIELMO MARCONI A OGGI

Guglielmo Marconi, trasmissioni wireless e Intelligenza Artificiale: quando i cambiamenti sono disruptive


Quest’anno ricorre il 150° anniversario della nascita di Guglielmo Marconi e, vista la portata dei cambiamenti che con le sue ricerche e sperimentazioni ha introdotto nel settore e nell’industria delle telecomunicazioni, è doveroso rendergli omaggio e chiedersi quale possa essere oggi un cambiamento simile a quello provocato dalle sue scoperte.

Il genio autodidatta che ha rivoluzionato le comunicazioni 

Il 25 aprile di 150 anni fa (era il 1874) nasce a Bologna Guglielmo Marconi. Di padre italiano e madre irlandese, il ragazzo decide presto di interrompere gli studi e, trasferitosi a Pontecchio, nell’Appennino bolognese, presso la paterna Villa Griffone, nell’inverno 1894-1895 compie numerosi esperimenti sulle onde elettromagnetiche, perseguendo l’idea di utilizzarle come veicolo per realizzare comunicazioni a distanza senza l’uso di fili.

Villa Griffone - Foto di A. Calisti

Nella primavera del 1895 Marconi riesce a emettere un segnale che, partendo dalla villa, percorre due chilometri, supera la collina detta ‘dei Celestini’, e raggiunge un ricevitore in mezzo alla campagna.

Nasce così l’era delle comunicazioni wireless e, improvvisamente, non solo il telegrafo di Morse (brevettato cinquant’anni prima) ma anche il telefono (inventato da meno di 25 anni, nel 1871) sembrano diventare obsoleti. Quest’ultimo sopravviverà fino ad oggi, integrando però le tecnologie marconiane nella telefonia cellulare.

Il resto è storia piuttosto nota. Purtroppo, la giovane Italia dell’epoca non arrivò a percepire la portata della scoperta di Marconi, che sarà brevettata in Inghilterra, paese che rimarrà per diverso tempo il centro delle attività dello studioso e dove nel 1898 nascerà la Marconi’s wireless telegraph and signal Company, azienda che sarà per lo scienziato il principale mezzo di sviluppo della sua invenzione.

Tavolo di lavoro di Marconi - Villa Griffone

Foto di A. Calisti

Nel giro di pochi anni i segnali di Marconi superano l’Oceano Atlantico, collegando le coste dell’Inghilterra con quelle del Canada e accendono le luci del municipio di Sidney attraverso un comando che lo stesso Marconi aziona dal porto di Genova (era il 26 marzo 1930). Questi segnali, emessi dalle navi lungo le loro rotte, salveranno molte vite in mare (emblematico è il caso del Titanic, ma anche, in tempi più recenti, del transatlantico italiano Andrea Doria). Sulle onde di Marconi viaggeranno intorno al mondo voci, musica e messaggi (purtroppo non sempre lieti) attraverso la radiofonia e la televisione. Saranno possibili i collegamenti nei viaggi spaziali e nell’esplorazione del cosmo e, grazie alla radioastronomia, saranno studiate stelle lontane e l’universo remoto.


Villa Griffone e tomba di Marconi - Foto di A. Calisti

Marconi muore improvvisamente per una crisi cardiaca il 20 luglio del 1937. A 63 anni lascia un’eredità di conoscenza di inestimabile valore, sulla quale nei decenni futuri si formeranno e lavoreranno generazioni di tecnici e ricercatori e che rappresenta il fondamento delle telecomunicazioni moderne e del “villaggio globale” che oggi abitiamo.

Veramente le scoperte di Marconi sono state disruptive nelle relazioni umane e nella riduzione della distanza tra paesi e continenti, veramente era, come lo hanno soprannominato gli americani, il wireless wizard, il mago delle comunicazioni senza fili.

L’Intelligenza Artificiale: la rivoluzione di questo secolo

Guardando alle scoperte di Marconi, viene spontaneo chiedersi quale strumento innovativo, oggi, possa essere accostato alle tecnologie sviluppate dal genio bolognese.

Foto di Gerd Altmann - Pixabay

La risposta, a nostro avviso, è da ricercare nel mondo dell’informatica che, ad esempio, attraverso la meccatronica, ha dato origine a soluzioni innovative nel settore dei processi di manufacturing. Ma un altro settore merita di essere paragonato a quello di cui Marconi è stato pioniere e iniziatore: l’Intelligenza Artificiale.

L’intelligenza artificiale generativa (ad esempio ChatGpt sviluppata dalla società OpenAI) è capace di svolgere molti compiti ritenuti finora umani e di generare contenuti multimediali (testo, immagini, video, musica, ecc.) in risposta a specifiche richieste. Si tratta di uno strumento che può essere utilizzato in diversi settori (dalla analisi di documenti alla produzione di contenuti a scopo di comunicazione).

L’impiego dell’I.A. è oggi, e sarà sempre di più nei prossimi anni, fonte di trasformazioni nell’organizzazione e nella gestione di risorse e di processi aziendali, consentendo, se impiegata nel modo giusto, di liberare ore e risorse umane da dedicare ad attività maggiormente strategiche e a valore aggiunto. Vedere nell’I.A. solamente uno strumento per “tagliare teste” è un modo riduttivo e ottuso di concepire l’impiego di tale strumento dal potenziale decisamente elevato, per il miglioramento di processi quali la Ricerca & Sviluppo, la Progettazione, la Produzione e la Supply Chain, assicurando un migliore coordinamento delle risorse, una automatizzazione e velocizzazione delle attività di routine.

Già oggi il 70% delle aziende che hanno utilizzato l’I.A. dichiara di aver migliorato la produttività; inoltre, secondo uno studio realizzato da The European House Ambrosetti e Microsoft, l’I.A. può generare un impatto positivo sul PIL attraverso il risparmio di ore lavorative e l’efficientamento dei processi.

Certamente, come evidenziato da molteplici organizzazioni di categoria, il mercato del lavoro dovrà misurarsi con l’impatto dell’I.A. Le nuove frontiere della digitalizzazione incideranno sulle aziende e sui lavoratori portando una trasformazione dei posti di lavoro, la scomparsa di alcune professioni e la nascita di altre. Per affrontare e governare tale cambiamento, decisamente disruptive, sarà importante essere preparati a sfruttare il potenziale offerto dalle nuove tecnologie in chiave di miglioramento della produttività, ma anche della qualità del lavoro.

Infine, è bene sottolinearlo, l’uomo dovrà comunque essere sempre al centro della macchina organizzativa. A lui dovrà spettare il compito di esaminare e valutare il prodotto dell’I.A. e di deciderne l’impiego. In questo modo si potranno evitare i rischi profetizzati da Stanley Kubrick in “2001 Odissea nello spazio”, quando il disfunzionamento del supercomputer Hal 9000 determina il fallimento della missione spaziale, o raccontati da Ridley Scott in “Alien”, dove le decisioni dell’I.A. che governa la rotta della nave spaziale portano l’equipaggio al fatale incontro con l’alieno.

Di queste problematiche appare ben consapevole l’Unione Europea che, con il Regolamento sull’utilizzo dell’I.A., approvato lo scorso marzo, ha definito con un atto legislativo tra i primi al mondo, ambiti e requisiti per un corretto utilizzo dei sistemi di I.A. con le relative sanzioni per i trasgressori.

Foto di copertina (di A. Calisti): Radioricevitore Marconi 


Andrea Calisti

Business Transformation Expert

 

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