Formazione continua per competere nel mercato globale

Come ogni anno, sono stati pubblicati dalla Fondazione Agnelli i dati sui migliori istituti di istruzione secondaria: un’occasione per riflettere sulla necessità di rendere continuo il processo di formazione nella vita lavorativa e sull’opportunità da parte delle imprese di costruire una propria “Academy”

Eduscopio 2024: bussola per aiutare i giovani a scegliere il proprio futuro

Nel panorama educativo italiano torna l’annuale appuntamento con Eduscopio, la piattaforma della Fondazione Giovanni Agnelli: uno strumento, ormai alla sua undicesima edizione, che offre una valutazione approfondita degli istituti di istruzione secondaria superiore delle varie città italiane. Analizzando i risultati universitari e lavorativi dei diplomati, il progetto si pone l’obiettivo di aiutare famiglie e studenti a scegliere il percorso di studi più adatto alle loro ambizioni. I criteri di analisi includono esami sostenuti, media dei voti, tasso di occupazione e coerenza tra il percorso di studi e l’attività lavorativa.

L’edizione attuale si basa su dati relativi a circa 1.347.000 diplomati distribuiti in 8.150 indirizzi scolastici, suddivisi per tipologia di scuola e area geografica. Questo grande database permette di confrontare le scuole e di identificare quelle più performanti in base a parametri oggettivi. Per le famiglie, spesso indecise di fronte alla varietà di opzioni disponibili, Eduscopio rappresenta una bussola utile per orientarsi nel mare delle offerte formative.

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La scelta della scuola superiore è, per molti studenti, il primo grande passo verso il futuro. È un momento cruciale in cui si gettano le basi per il percorso universitario o lavorativo. Secondo i dati raccolti, circa il 40% dei diplomati tecnici e la maggioranza degli studenti dei licei prosegue gli studi in ambito accademico. Al contrario, una parte significativa dei diplomati tecnici e circa l’80% degli studenti provenienti dagli istituti professionali si inserisce direttamente nel mercato del lavoro.

Tra i licei più prestigiosi figurano il Volta a Milano e il Righi a Roma, seguiti da scuole come il Leonardo Da Vinci di Jesi e il Marie Curie di Savignano sul Rubicone. Tuttavia, la classifica evidenzia anche realtà scolastiche in zone meno privilegiate che riescono comunque a garantire una formazione di alto livello. Tali risultati dimostrano l’importanza di un sistema educativo capace di offrire opportunità di qualità all’intera platea studentesca, indipendentemente dal contesto socioeconomico.

La formazione continua: una necessità per affrontare il cambiamento

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Oltre al periodo scolastico, emerge sempre più chiaramente l’importanza della formazione continua durante tutta la vita lavorativa. L’evoluzione tecnologica e la trasformazione del mercato del lavoro si muovono a una velocità senza precedenti, rendendo indispensabile un costante aggiornamento delle competenze. Per rimanere competitivi, aziende e organizzazioni devono garantire ai propri dipendenti strumenti di apprendimento flessibili e mirati.

La formazione, vista come aggiornamento (up-skilling) o creazione di nuove competenze (re-skilling) non è più un’opzione, ma una necessità per adattarsi ai cambiamenti strutturali che caratterizzano il mondo del lavoro odierno. Innovazioni come l’intelligenza artificiale, la robotica e la digitalizzazione stanno rivoluzionando il panorama professionale, richiedendo nuove competenze e una maggiore capacità di adattamento. In questo contesto, la creazione di strutture dedicate all’apprendimento, come le Academy aziendali, rappresenta una soluzione concreta per gestire tali sfide.

Le Academy aziendali: un modello per la gestione della conoscenza

Il modello delle Academy si basa sull’idea di costruire una struttura interna che si occupi della gestione della conoscenza, nota come knowledge management. Queste organizzazioni hanno il compito di proteggere e valorizzare il patrimonio di competenze tecniche e specialistiche dell’azienda, garantendo che queste vengano trasferite ai dipendenti e ai partner esterni in modo efficace.

L’obiettivo principale di un’Academy aziendale è duplice: da un lato, assicurare che il sapere aziendale sia preservato e continuamente aggiornato; dall’altro, favorire lo sviluppo di competenze strategiche per rispondere alle esigenze del mercato. Questo approccio consente alle aziende di distinguersi dalla concorrenza, aumentando la loro capacità di innovare e adattarsi ai cambiamenti.

La creazione di un’Academy è un progetto complesso, che richiede il coinvolgimento di diversi attori e una pianificazione attenta. Il modello di gestione della conoscenza elaborato da Milton e Lambe offre una guida utile per strutturare tale iniziativa. Questo approccio vede la gestione della conoscenza come un processo dinamico e continuo, che si sviluppa attraverso l’interazione tra persone, processi e tecnologia.

Per realizzare un’Academy efficace, è fondamentale considerare alcuni fattori chiave:

  1. Condivisione della conoscenza tacita ed esplicita: promuovere una cultura aziendale orientata alla collaborazione e allo scambio di informazioni.

  2. Interazione e scambio di esperienze: creare occasioni di confronto tra dipendenti per favorire l’apprendimento reciproco.

  3. Utilizzo di tecnologie avanzate: integrare strumenti digitali che facilitino la gestione e la diffusione della conoscenza.

  4. Apprendimento continuo: offrire percorsi di formazione regolari e adattati alle esigenze del personale.

L’implementazione di questi elementi trasforma la gestione della conoscenza in un vantaggio competitivo, permettendo alle aziende di migliorare le proprie performance e di rispondere in modo più efficace alle sfide del mercato.

La conoscenza rappresenta oggi una delle risorse più preziose per le organizzazioni. Tuttavia, per essere realmente efficace, deve essere gestita in modo strategico e integrata nei processi aziendali. Non è sufficiente delegare la formazione al sistema educativo tradizionale; le aziende devono assumersi la responsabilità di creare un ecosistema che favorisca l’apprendimento e l’innovazione.

In un mondo sempre più globalizzato e competitivo, le Academy aziendali rappresentano un’opportunità unica per le organizzazioni di tutti i settori. Investire nella creazione e nello sviluppo di queste strutture non è solo una scelta lungimirante, ma una condizione indispensabile per garantire il successo a lungo termine.

conclusioni

In sintesi, la combinazione di una solida formazione scolastica e di un efficace sistema di aggiornamento professionale costituisce la base per lo sviluppo di una forza lavoro competente e adattabile. Iniziative come Eduscopio evidenziano l’importanza di scegliere scuole che preparino gli studenti alle sfide future, mentre le Academy aziendali dimostrano come la formazione continua sia una leva strategica per il successo organizzativo.

Investire nella conoscenza non è solo un dovere morale, ma un requisito per competere in un mercato globale in continua evoluzione. Le aziende che sapranno cogliere questa opportunità saranno quelle che guideranno il cambiamento, ponendosi come leader nei loro settori.

Andrea Calisti

Business Transformation Expert





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La meta del cambiamento… Un viaggio in 4 tappe - QUARTA e ULTIMA TAPPA

Quattro incontri su alcune tematiche connesse alla trasformazione organizzativa


26 marzo - 4 luglio - 3 ottobre - 13 dicembre 2024

I quattro webinar, organizzati da Blulink srl, di cui BluPeak è partner, presentano la meta del cambiamento come una cima, impegnativa ma al contempo alla portata di tutti, da raggiungere con adeguati strumenti culturali, cognitivi e metodologici.




Dopo le tre tappe, curate da Stefano Setti, Luca Costa e Andrea Calisti, tocca a Dalia Vodice, trainer e coach del Team BluPeak, chiudere accompagnandoci in cima.

Il suo intervento, La vetta: Leadership della trasformazione, è programmato per venerdì 13 dicembre 2024, online, dalle 11:30 alle 12:15.





Per ulteriori informazioni e per la registrazione al webinar, cliccate sulla pagina di Blulink.

Autostrada del Sole e Project Financing

“La domenica fiorentina si presentava finalmente serena dopo il nubifragio del giorno prima. Una pioggia sferzante che aveva costretto, il pomeriggio di sabato 3 ottobre 1964, le auto con a bordo il presidente del Consiglio, Aldo Moro, e l’amministratore delegato della società Autostrade, Fedele Cova, a procedere a passo d’uomo da Orvieto a Chiusi. Era l’ultimo tratto che mancava per rendere l’A1 – esattamente sessant’anni fa – l’autostrada che conosciamo: la dorsale d’asfalto, allora avveniristica, che univa per la prima volta le macroaree del Nord, del Centro e del Sud.” (Corriere della Sera, 3 ottobre 2024, a cura di Daniele Piazza)

Oggi un’opera simile, da 60 anni motore di sviluppo economico e di incontro tra le diverse aree d’Italia, costata in valuta attuale circa 3,5 miliardi di euro, sarebbe probabilmente realizzata in Project Financing.

Vediamo quindi di approfondire questa modalità di operare.

Un concept tutto italiano

L’idea di un’arteria stradale esclusivamente dedicata al traffico automobilistico, contrariamente a quanto si possa credere, non nasce con l’Autostrada del Sole e non proviene dall’estero.

Fonte: Wikipedia

La prima autostrada al mondo nasce tra il 1924 e il 1925 per collegare Milano ai laghi lombardi e permettere le prime gite turistiche in automobile (che all’epoca, essendo un privilegio per pochi, si prendeva a noleggio completa di chauffeur).



Fonte: Corriere della Sera

Passano circa 30 anni e il 19 maggio 1956, a San Donato Milanese (altro luogo reso celebre come culla del progresso industriale grazie all’ENI di Enrico Mattei), viene celebrata la posa della prima pietra della futura A1 alla presenza dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e dell’arcivescovo di Milano Giovan Battista Montini, futuro papa Paolo VI.

Dal 1956 al 1964, in soli 8 anni, vennero realizzati 755 chilometri di nastro d’asfalto per collegare Milano a Napoli con 113 ponti e viadotti, 572 cavalcavia, 38 gallerie, 57 raccordi, 56 aree di servizio.

L’idea di questa infrastruttura vede la luce tra il ‘53 e il ‘55 ad opera della SISI (Società Iniziative Strade Italiane, il consorzio aziendale composto da Fiat, Pirelli, Agip e Italcementi), che sviluppa il progetto di massima dell'autostrada con le sue tappe principali (Milano, Bologna, Firenze, Roma e Napoli), ipotizzandone già il sostegno finanziario tramite la riscossione dei pedaggi. Nel 1955 la SISI trasferisce il progetto allo Stato. Si crea così una “congiuntura perfetta” di comunità d’intenti tra Governo, competenze tecniche e capacità delle maestranze, che ha permesso di realizzare un investimento di 272 miliardi di lire (pari ad attuali 3 miliardi e mezzo di euro circa).

Se oggi si dovesse realizzare un’opera simile, con un impegno economico corrispondente a quello citato, molto probabilmente si ricorrerebbe a una soluzione di Project Financing.

Il Project Financing: mezzo per lo sviluppo infrastrutturale (da utilizzare con attenzione

Il Project Financing è una metodologia di finanziamento a lungo termine impiegata in particolare per la realizzazione di progetti che comportano un rilevante impegno finanziario, come quelli relativi alle infrastrutture.

La caratteristica peculiare del Project Financing è che il rimborso del debito contratto per finanziare il progetto si basa esclusivamente sui flussi di cassa generati dall’infrastruttura oggetto del progetto (esempio un’autostrada, ma anche un tratto ferroviario, un aeroporto, un’infrastruttura energetica), anziché sulla solvibilità finanziaria dei soggetti promotori. Il progetto stesso rappresenta quindi la garanzia esclusiva per il finanziamento della realizzazione, in grado di ripagare il debito e di generare rendimenti per gli investitori.

I principali attori coinvolti nel Project Financing sono gli sponsor, gli istituti finanziari, le autorità pubbliche e le società fornitrici.

Gli sponsor sono di solito aziende o consorzi che si occupano della concezione, dello sviluppo e della gestione del progetto.

Le banche o i fondi d’investimento rivestono il ruolo di finanziatori, valutando la sostenibilità economica del progetto e definendo le modalità di erogazione del prestito (che spesso copre la maggior parte del fabbisogno finanziario).

Le autorità pubbliche sono coinvolte nell’assicurare il corretto, ma celere, sviluppo dell’iter burocratico collegato al progetto, così come nell’offrire incentivi fiscali, concessioni, garanzie o contributi a fondo perduto per favorire la realizzazione di opere che rispondano a esigenze collettive, come infrastrutture sanitarie, stradali o scolastiche.

Per lo sviluppo del progetto, in caso di esito positivo dell’analisi di fattibilità su rischi, costi e benefici, viene creato appositamente uno “Special Purpose Vehicle” (SPV), ovvero una società che ha lo scopo di gestire l'iniziativa e di detenere il debito e gli attivi del progetto. La SPV agisce come veicolo legale e rappresenta l’entità giuridica responsabile di tutti i contratti e gli obblighi legati al progetto. Tale aspetto è importante poiché protegge gli sponsor dai rischi.

Lo SPV raccoglie il capitale necessario, realizza il progetto e gestisce l’infrastruttura o l’impianto, generando i flussi di cassa necessari a ripagare il debito. Il progetto deve quindi dimostrare di essere autosufficiente e capace di generare reddito nel lungo termine.

Il Project Financing ha diversi vantaggi:

  • permette la realizzazione di opere complesse senza gravare sui bilanci aziendali degli sponsor o sulla spesa pubblica;

  • facilita l’attrazione di capitali privati anche per progetti pubblici, favorendo la collaborazione tra pubblico e privato.

Tuttavia, il Project Financing presenta anche delle problematiche che devono essere prese in esame con attenzione:

  • il processo è complesso e richiede studi di fattibilità dettagliati e una rigorosa gestione dei contratti;

  • i costi di transazione, consulenza e monitoraggio possono essere elevati, e i tempi di negoziazione con le banche o i fondi sono spesso lunghi.

  • se il progetto non genera i flussi di cassa previsti, possono sorgere difficoltà nel rimborso del debito, esponendo gli investitori a perdite.

Quattroruote sul tracciato della BreBeMi (A35) rispetto alla A4

Un esempio relativo all’ultimo rischio citato è sicuramente quello dell’autostrada A35 (la cosiddetta BreBeMi): i bassi flussi di traffico dovuti al costo dei pedaggi, nonostante la minore lunghezza del percorso rispetto all’alternativa rappresentata dall’utilizzo della preesistente A4, mettono a rischio la redditività del progetto.

CONCLUSIONI

Il Project Financing rappresenta sicuramente uno strumento strategico per finanziare progetti di grande rilevanza, i cui rischi devono tuttavia essere tenuti nella giusta considerazione dai Project Manager chiamati a gestire questo tipo di iniziative.

Le modalità operative permettono di attrarre risorse private in settori dove la spesa pubblica non è sufficiente o dove si punta a ridurre il debito pubblico; tuttavia, lo studio preliminare di fattibilità e l’analisi dei rischi devono essere condotti con particolare attenzione, soprattutto in proiezione lungo il ciclo di vita del progetto, per valutarne correttamente la redditività rispetto agli investimenti da rimborsare.

Con l’aumento delle esigenze infrastrutturali e lo sviluppo di tecnologie verdi, il Project Financing è probabilmente destinato a crescere, diventando sempre più un pilastro per il finanziamento di progetti innovativi e sostenibili. Questa situazione genererà la necessità di avere figure professionali correttamente formate non solo nella gestione di questi progetti, ma anche, come detto, nello sviluppo degli studi di fattibilità e delle analisi di rischio preliminari.

Andrea Calisti

Business Transformation Expert


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BluPeak @EBES Conference

In occasione della 49th EBES ConferenceAtene, 16-18 ottobre 2024 Stefano Setti, CEO&Founder di BluPeak Consulting, presenta un paper dal titolo “Becoming a Learning Organization to Face Change in Complexity”.

L’intervento si basa sull’applicazione delle best practice inserite in un framework sintesi del lavoro di ricerca degli ultimi anni del Team BluPeak: un metodo integrato e multidisciplinare capace di potenziare le capacità di trasformazione delle organizzazioni intese come sistemi complessi.

L’ambito della presentazione, quindi, è la Business Transformation e l’obiettivo è quello di esplorare ciò che caratterizza una Learning Organization e come questa possa affrontare meglio la sfida della trasformazione aziendale in uno scenario complesso. I presupposti principali sono che tutte le organizzazioni, anche quelle di medie e piccole dimensioni, sono sistemi complessi e necessitano di una visione olistica, che le organizzazioni si trasformano continuamente e che la capacità di sviluppare un approccio di apprendimento continuo a qualsiasi livello è un fattore chiave per avere successo.

E. Morin

La relazione introduce concetti che fanno parte del DNA di BluPeak: cosa s’intende per trasformazione organizzativa (BT) e per capability, e del perché il Project/Program Management non è sufficiente per una completa e valida Business Transformation, necessitando invece di una visione più elevata. A supporto di ciò, il riferimento non può che essere a grandi pensatori come Edgar Morin e alla sua scienza della complessità, alle idee principali di Peter Senge sul pensiero sistemico e alla fondamentale teoria di cultura organizzativa di Edgar Schein.

Il paper fornisce spunti sullo stato dell’arte della metodologia del knowledge management nelle aziende. Un punto chiave è che le conoscenze tecniche devono essere integrate con quelle gestionali e, in modo sempre più decisivo, con quelle relative alla compliance, all’eccellenza, alla sostenibilità (GRC, ESG, ecc.), e ciò deve avvenire in modo personalizzato. Altrettanto rilevante è definire e responsabilizzare profili specifici di knowledge management (manager, champion, owner).

L’intervento di Stefano Setti esamina quindi il reale e determinante significato di lifelong learning, che è legato a una cultura del senso critico, all’importanza del fallimento, alla revisione pre-mortem dei progetti, all’arte del feedback ma anche alla “falsa credenza” del feedback stesso. Approfondisce poi l’attuale idea di Academy e tratta delle dimensioni in base alle quali si può capire se un'azienda è una learning organization e in che misura – stile di leadership, cultura, empowerment delle persone, fiducia, maturità nel knowledge management – e come definire e determinare il livello di preparazione all’apprendimento ispirato al concetto di Education Readiness Levels (ERLs) – secondo la ricerca di S. Dinda, T. W. Simpson, L. Gluck del 2017.

Il contributo alla conferenza descrive inoltre come dall’esplorazione dello scenario della transforming organization si può stabilire una road map: azioni atte a portare l’azienda allo step successivo, passaggio in cui si deve considerare il ruolo del Chief Learning Officer, dei sistemi digitali e dell’Intelligenza Artificiale.


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Il futuro dell’automotive: timori, incertezze, interrogativi

L’industria automotive europea sta attraversando un periodo di turbolenze che porterà inevitabilmente, anche per effetto delle scelte regolatorie dell’UE, a una trasformazione non solo di tipo tecnologico, ma anche del modello di business.

Un cambiamento epocale, sul quale questo articolo intende stimolare la riflessione.

Il contesto

Un vento gelido soffia sull’Europa, anzi per la precisione sull’industria automobilistica europea. Tra vendite non brillanti, crisi delle motorizzazioni elettriche, transizione ecologica e invasione dei modelli asiatici, anche quei costruttori, che fino a oggi sembravano immuni da situazioni critiche, si trovano a dover ragionare con tagli produttivi, possibili chiusure di stabilimenti, ridimensionamento degli organici.

Maggiolino Volkswagen

A questa emergenza continentale non sfugge neppure il modello industriale “Made in Germany”, come dimostrano gli annunci di Volkswagen sulle prospettive per il futuro, nei quali, oltre alla revisione del modello di relazioni sindacali, contrattualistica e welfare che per anni è stato un fiore all’occhiello dell’economia tedesca, si è ventilata la chiusura di siti produttivi (la prima esperienza del genere per il costruttore di Wolfsburg in 87 anni) e il licenziamento di personale.

Su questo scenario pesa anche la fine, annunciata per il 2035 (scadenza tuttora mantenuta), della possibilità di costruzione e commercializzazione nell’UE di autoveicoli con motori a combustione interna alimentati a benzina, gasolio e biocarburanti.

Ovviamente tale situazione non è immune da potenziali pesanti ripercussioni per i diversi costruttori, ma anche per i fornitori dell’indotto (tra i quali molte aziende sono eccellenze italiane che negli anni hanno saputo farsi apprezzare anche all’estero, conquistando importanti quote di mercato).

Stiamo inevitabilmente andando incontro a un’importante e dirompente trasformazione di un settore da sempre trainante per l’economia e fonte di ricerca e di innovazione tecnologica. L’automotive in Europa impiega circa 12 milioni di addetti (secondo ACEA - Associazione Costruttori Automobilistici Europei) e perciò a una trasformazione di business come quella citata non è consentito giungere impreparati.

le ragioni della crisi

Indagare le ragioni di un fenomeno così complesso e articolato non è semplice e, in alcuni casi, esse affondano le proprie radici in scelte tecnologiche e politiche fatte in decenni passati.

Lasciando al lettore la libertà di cimentarsi in ulteriori analisi, vorremmo suggerire alcune opportunità di approfondimento.

Innanzitutto, è opportuno ragionare sul bilanciamento domanda-offerta. Sebbene tra i costruttori ci siano stati e probabilmente ci saranno ancora fenomeni di aggregazione, il mercato continua a essere caratterizzato da un’abbondanza di marchi (spesso appartenenti a uno stesso costruttore) che offrono modelli basati su una medesima piattaforma costruttiva con il rischio di concorrenza interna, disorientamento del consumatore, difficoltà per i modelli nel costruirsi una propria immagine e una propria identità a misura di una definita e consistente fetta di pubblico. A questa offerta “ridondante” (e a volte “dissonante”) corrisponde una domanda che tende a contrarsi.

Il motivo di questa diminuzione della domanda andrebbe probabilmente ricercato anche negli orientamenti dei giovani e al loro atteggiamento verso le quattro ruote, rispetto a quello delle precedenti generazioni.

Negli anni ’70 e ’80, uno dei traguardi più ambiti dai boomer, raggiunta la maggiore età, era conseguire la patente di guida e, magari (complici i risultati scolastici), ambire a un’utilitaria usata, simbolo di una nuova libertà. Oggi l’interesse per la motorizzazione non sembra essere al primo posto tra quelli che animano le giovani generazioni e, se è vero che i giovani rappresentano i consumatori del futuro, oltre ad avere un peso sempre importante nelle decisioni e negli orientamenti di consumo delle famiglie, questo dovrebbe (o avrebbe dovuto) mettere in guardia gli specialisti del settore.

Topolino

Altro aspetto su cui vorremmo soffermarci, in parte già accennato, è quello emozionale. Fino a qualche anno fa, costruttori e carrozzieri erano in grado di concepire e realizzare modelli di massa “iconici”, automobili che, anche se destinate alla motorizzazione del cosiddetto ceto medio, sapevano colpire per estetica e funzionalità la sensibilità dei potenziali utenti e, con questo loro appeal, imporsi nel mercato.

Oggi assistiamo a una banalizzazione dell’estetica, che di fatto rende le autovetture simili tra loro al di là del marchio. Questa situazione, unita a un livello qualitativo e di allestimento/prestazioni pressoché equivalente per i modelli dei vari segmenti di mercato, non è più in grado di suscitare emozioni e indirizzare la scelta del compratore medio verso uno specifico modello e una determinata marca, creando le condizioni per diventare leader nel mercato.

Infine, una riflessione merita sicuramente la questione dei costi, sia di acquisto che di mantenimento di un’autovettura che, anche per una cosiddetta utilitaria, possono risultare elevati rispetto al potere di acquisto delle famiglie.

osservazioni su possibili soluzioni

Quali potrebbero essere, quindi, le vie per trovare una soluzione a questa congiuntura?

Gli ambiti sui quali focalizzeremo la riflessione portano a suggerire di ripensare il modello di utilizzo delle autovetture e a incoraggiare alleanze tecnologiche per la ricerca e l’innovazione.

Il modello più utile per il futuro, nell’ottica di un reciproco beneficio tra produttori e consumatori, sembra essere quello del “car as a service” e del “car sharing”. Più che all’acquisto del “bene automobile”, l’utente andrebbe indirizzato verso l’acquisto di mobilità (il più possibile sostenibile ed eventualmente per un utilizzo condiviso) attraverso, ad esempio, offerte di noleggio a breve, medio e lungo termine comprensive di servizi di assistenza per la manutenzione e di coperture assicurative.

Dal punto di vista dell’innovazione tecnologica, è certamente importante per i player di settore operare con un “campo largo” di alleanze.

Negli autoveicoli la presenza dell’elettronica è sempre più pervasiva, sia per la gestione di aspetti di funzionamento e prestazioni, sia per il cosiddetto “infotainment” e per la sicurezza. Per questo motivo è auspicabile che si creino o si incrementino alleanze tecnologiche tra i costruttori di autoveicoli e le aziende specializzate nello sviluppo di software, al fine di incoraggiare sinergie e produrre soluzioni in grado di imporsi all’attenzione del mercato.

La strategia delle alleanze tecnologiche vale anche per le motorizzazioni, ambito in cui dovrebbe svilupparsi (più di oggi) un’interlocuzione tra costruttori e aziende del settore Oil & Gas ed energetico, al fine di consentire lo sviluppo di soluzioni, sia dal punto di vista delle motorizzazioni che sotto il profilo degli impianti per la produzione e la distribuzione del combustibile se non alternative, almeno complementari all’elettrico (per esempio l’idrogeno).

Percorrendo queste e altre strade, che gli specialisti del settore sapranno certamente trovare, l’industria automotive potrà certamente non solo trasformarsi, ma rigenerarsi, recuperando competitività, capacità di autosostenersi senza incentivi esterni (che a lungo termine danneggiano il mercato) e redditività.

FIAT 500

Credit: Andrea Calisti

Evento: Mostra "Motori Capitale" - Fiera di Roma, 21-22 settembre 2024

Andrea Calisti

Business Transformation Expert


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BluPeak a Casa Bahia '24

il nostro racconto di Casa Bahia ’24


“La musica dà anima all’universo, ali al pensiero, slancio all’immaginazione, fascino alla tristezza, impulso alla gioia e vita a tutte le cose.”

Credit: Paola Mosca

Scomodiamo Platone perché ci sembra un ottimo incipit per il nostro racconto di Casa Bahia ’24: la prima edizione del festival di musica brasiliana che il 14 e il 15 settembre scorsi ha riempito di note ed emozioni uno spicchio di pianura padana, realizzato col patrocinio del Comune di Modena, il sostegno di BluPeak Consulting e la generosa ospitalità dell’Agriturismo Omega.

Mikis&Stefano - Credit: Gabriella Caselli

Dall’idea di Mikis Lugli (al lato in foto con Stefano Setti), immediatamente sposata da Rogério Tavares – musicista e compositore brasiliano trasferitosi in Italia da molti anni –, è nata la due giorni di suadenti melodie brasiliane, in cui il valore aggregante della musica si è felicemente riconfermato. Noi di BluPeak eravamo lì e ora proviamo a farvela immaginare…

I maggiori esponenti di questa musica, provenienti da tutta Italia, si sono alternati sul palco con voce e strumenti, ritmo e simpatia, bravura e armonia, creando “un cerchio di bellezza e di luce” e ringraziando, loro, con gioia, di aver avuto la possibilità di rincontrarsi e di condividere l’amata musica:

Barbara Casini, Roberto Taufic, Roberto Rossi, Cristina Renzetti, Tati Valle, Silvia Donati, Daniele Santimonie, Paolo Andriolo, Gabriele Mirabassi, Rogério Tavares, Andrea Taravelli, Barbara Piperno, Marco Ruviaro, Maria Pia De Vito.

Sound check - Credit: Paola Mosca

La profonda amicizia e l’alta professionalità dei musicisti, e il loro calore – a compensazione del precoce autunno che ci ha sorpreso con conseguente abbassamento delle temperature – ci hanno immerso nel Paese dove “la musica è dovunque, letteralmente, nelle strade, nella lingua parlata di tutti giorni, nelle movenze, nel modo di camminare, di amoreggiare, di giocare al calcio, di festeggiare o di esprimere dolore.” (E. Assante e G. Castaldo)

Credit: Paola Mosca

I ritmi propri della musica brasiliana, la contaminazione di lingue, la saudade e l’allegria, la verace spontaneità – degli artisti e del pubblico – in un’atmosfera rilassante e informale – come se fossimo a Casa di amici –, le quinte naturali del verde alle porte di Modena, con all’imbrunire sfumature dall’ocra al vermiglio per tramonti mozzafiato e, più tardi, con una luna, seppur non piena, in alcuni momenti di una luminosità struggente, tanti ragazzi e ragazze, totalmente coinvolti dall’atmosfera, che hanno assecondato la musica col ballo, convincendo anche i meno giovani (!)… Questo e tanto altro è stato Casa Bahia ’24, senza dubbio una kermesse di successo!

Credit: Paola Mosca

E quando il caso vuol premiare la passione e la bravura, ti regala, a sorpresa, anche i fuochi d’artificio! Noi di BluPeak, che d’impulso ma convinti abbiamo sostenuto la manifestazione, vorremmo dire che il merito dello spettacolo pirotecnico è dello sponsor, ma non possiamo ovviamente millantare… Fatto sta che è stato un modo magico per la salutare le ultime note, tra applausi, abbracci e l’appuntamento per Casa Bahia ’25!

Credit: Paola Mosca


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