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Academy aziendale: contro la dispersione di conoscenza - Parte seconda

Proseguendo con l’articolo, affrontiamo ora nello specifico l’argomento academy, fino a parlare di un effetto collaterale importante delle azioni di formazione, per giungere infine alle conclusioni.

Accademie e Centri di Formazione

Rispetto a questi problemi le aziende hanno escogitato, codificato e condiviso, nel corso di anni di attività, molteplici procedure, metodi e buone pratiche. Le iniziative di creazione di accademie[1] aziendali sono nate per trasformare gli aspetti problematici che abbiamo esposto in opportunità per l’accrescimento del valore proposto sul mercato di riferimento, e per generare un adeguato profitto.

Vogliamo, nel prosieguo di queste note, esporre alcune considerazioni sull’istituzione delle Accademie aziendali, prendendo spunto da alcuni esempi illustri.

La Gelato University di Carpigiani Gelato University è nata nel 2003 e si è affermata come la più importante scuola di gelateria del mondo. Fino a quel momento la Carpigiani era nota come fabbrica di macchine per la realizzazione di gelati, che commercializzava con successo in tutto il mondo. Una macchina può essere copiata e riprodotta, i brevetti possono essere rispettati, ma le idee circolano e il rischio di perdere importanti quote di mercato era concreto. L’idea che ha portato alla realizzazione della Gelato University era semplice: attirare persone da tutto il mondo a imparare come si realizza questo prodotto nel paese che l’ha inventato. Anziché cedere conoscenze di rilievo, con i modi che abbiamo descritto, diventare un punto di riferimento costante per chi, dall’artigiano al dipartimento dell’industria dolciaria, voglia eccellere e mantenersi al livello dello stato dell’arte.

La Gelato University è un esempio eccellente, ma solo per rimanere nel territorio emiliano sussistono altri esempi di valore quali Cremonini, Tetrapak, Coop, IMA. Le aziende della Motorvalley, inoltre, hanno avviato collaborazioni con le principali università e scuole di business del territorio. La lista degli esempi virtuosi potrebbe continuare.

Accademia come programma aziendale

La creazione di un’accademia non si limita a impostare l’infrastruttura, i sistemi di regole, i ruoli e i contenuti sufficienti ad avviare un’azione di formazione e che possono essere oggetto di un progetto specifico. L’obiettivo, infatti, è di portare la soluzione a essere efficace e di mantenere tale efficacia nel tempo, e richiede un approccio per programmi[2] e un’azione di cambiamento organizzativo e culturale che abbraccia l’intera organizzazione che la istituisce.

La caratteristica di un programma è la creazione di un beneficio, che ha una relazione diretta con gli obiettivi strategici dell’organizzazione[3]. Il programma è composto da componenti gestiti in modo coordinato per creare e mantenere nel tempo i benefici, i quali, dopo essere stati creati, vengono trasferiti a qualche entità che ne fruisce e vengono mantenuti con opportune azioni di sostegno.

Nel caso della creazione di un’accademia aziendale, il beneficio da generare può essere, ad esempio, ridurre del 90% la dispersione di informazione o dell’80% le perdite economiche che da essa derivano; inoltre, come scrivevamo poco sopra, la creazione di infrastrutture e contenuti non è sufficiente per garantire un successo di lungo periodo: i contenuti debbono essere adattati alle esigenze degli stakeholder e aggiornati allo stato dell’arte; ruoli e procedure, così come materiali didattici e strumenti di supporto alla didattica debbono essere aggiornati a loro volta allo stato della tecnologia. È quindi necessario ricorrere a un programma che attinge in modo sistematico a tutte le fonti di informazione di cui l’organizzazione dispone e che ne coordina la sintesi.

L’effetto “Oracolo di Delfi”

Prima di concludere è doveroso citare un effetto collaterale importante delle azioni di formazione.

Nell’antichità, era costume rivolgersi a un oracolo prima di avviare un’impresa. Nel mondo greco ci si recava a Delfi, nella Focide, alle pendici del Monte Parnaso e, dopo essersi sottoposti a un rito di purificazione, si esponeva il proprio quesito all’oracolo, che rispondeva attraverso le parole sibilline della sacerdotessa come ad esempio fece Temistocle, l’ammiraglio ateniese che annientò la flotta persiana nello stretto di Salamina[4].

Quando ricevevano una richiesta, i responsabili del tempio la annotavano e in questo modo, e anche se la consultazione aveva qualche carattere di riservatezza, ricevevano notizie su tutti gli aspetti che ora definiremmo militari, sociali, politici ed economici dell’area del mondo greco, ma anche di alcune delle regioni circostanti, da cui traevano conclusioni che facevano esporre dalla Pizia – la sacerdotessa che secondo la credenza locale aveva il dono della veggenza – con un responso espresso in versi sibillini[5].

Il punto da osservare è che i sacerdoti di Delfi a ogni richiesta di responso acquisivano dati e informazioni che permettevano loro di tenere aggiornata una mappa degli equilibri geopolitici dell’intera area del mediterraneo, rendendo il santuario una specie di banca dati ante litteram.

Chiunque svolga attività di formazione ha sperimentato in senso positivo l’effetto dell’Oracolo di Delfi: il docente attraverso le domande degli studenti apprende, vede la sua stessa materia dal punto di vista dell’allievo e ciò gli permette di generare nuova conoscenza o, se si preferisce, una conoscenza più consapevole. Se questo percorso di raffronto e crescita non si limita all’esperienza del singolo docente ma viene condiviso in modo strutturato, entra a far parte della cultura e crea un circolo virtuoso in cui la formazione – in aggiunta ad altri strumenti predisposti allo scopo – permette di recepire umori e necessità di mercato che possono essere trasferiti sia alle funzioni tecniche e di marketing, per il miglioramento di prodotti e servizi, sia all’alta dirigenza per verificare l’efficacia della strategia.

Conclusioni

La conoscenza che le organizzazioni producono con lo svolgimento delle loro attività costituisce una parte importante del loro valore. La perdita di conoscenze è un problema[6] noto a cui le aziende e gli studiosi hanno dato differenti soluzioni.

L’istituzione di accademie e centri di formazione interni sono uno strumento di uso crescente, sia per garantire conoscenze omogenee e l’istituzione di una comune cultura, ma anche come veicolo di raccolta di spunti e richieste di miglioramento di prodotti e servizi, di conoscenza delle richieste del mercato e di innovazione di prodotto.

Un’accademia aziendale si istituisce mediante un percorso di medio periodo, con un approccio di programma allineato alla visione strategica dell’organizzazione.


[1] Academia era il giardino in cui Platone riuniva i discepoli della sua scuola filosofica e dove scrisse i suoi Dialoghi.

[2] Sulla gestione dei programmi si veda anche “Program Management” di Michel Thiry (Thiry, 2015) in particolare per la relazione fra programmi e progetti e per la nascita dell’approccio per programmi dall’ambiguità delle circostanze in cui le organizzazioni intraprendono iniziative complesse.

[3] Sulla gestione dei benefici si veda anche “Benefits Realization Management” di Carlos Serra (Serra, 2019).

[4] Si veda Erodoto Libro VII delle Storie (Erodoto).

[5] Il responso era volutamente ambiguo e spettava al destinatario la sua corretta interpretazione: si veda ad esempio la sorte di Creso che fraintese il significato della risposta del dio e perse il suo regno (Erodoto, Libro I Ibidem).

[6] Si veda a questo proposito il resoconto sulla conoscenza e la produttività a cura di Panopto (Panopto, 2023) citato in bibliografia.

Bibliografia

Costa, L. (2024, September). Cultural Apects of Lessons Learned. Project Management World Journal.

Dimitrov, K. (2013). Edgar Schein’s Model of Organizational Culture Levels as a Hologram. Economic Studies (Ikonomicheski Izsledvania).

Erodoto. (1996). Le Storie. Torino: Utet.

Grant, R. M. (2021). Contemporary Strategy Analysis. John Wiley & Sons Inc.

Nonaka, I. (2007, July-August). The Knowledge Creating Company. Harvard Business Review.

Panopto. (2023). Workplace Knowledge and Productivity Report.

Schein, E., & Schein, P. (2017). Organizational Culture and Leadership (V ed.). Hoboken: John Wiley & Sons Inc.

Serra, C. E. (2019). Benefits Realization Management. Boca Raton: CRC Press.

Thiry, M. (2015). Program Management. Farnham (UK): Gower.

  Luca Costa

Business Transformation Expert

Foto: Cipro - Sito Archeologico di Kourion (Credit: L. Costa)


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Academy aziendale: contro la dispersione di conoscenza - Parte prima

Le aziende acquisiscono ed elaborano conoscenze attraverso l’esperienza e il confronto con il mercato. L’insieme delle conoscenze di cui un’organizzazione dispone[1]costituisce una parte importante del suo valore ed è il fondamento su cui produce risultati, in base ai suoi obiettivi strategici.

Il patrimonio di conoscenza, tuttavia, tende a disperdersi per vari motivi: spesso per avvicendamento delle risorse, talvolta per cessione incontrollata e priva di remunerazione.

Quest’ultimo aspetto è l’oggetto principale delle note che seguono (che abbiamo suddiviso in due articoli): le organizzazioni, e in particolare le aziende manufatturiere, si trovano nella condizione di cedere conoscenze, anche di alto livello, in modo gratuito e non strutturato.  esaminiamo quindi come l’istituzione di una struttura di formazione, o Accademia Aziendale, o, ancora, Academy, sia una risposta per la gestione di tale problema.

La cessione di conoscenza nelle organizzazioni

Se si acquista una vettura, l’acquirente conosce bene ciò che sta acquistando e l’uso che ha intenzione di farne: il concessionario non deve effettuare sessioni di scuola guida, al massimo investe un tempo commisurato al prestigio del cliente e al costo della vettura (nel mio caso tre minuti scarsi!) per spiegare le principali caratteristiche del modello acquistato e degli accessori installati.

Nei progetti che coinvolgono la tecnologia il contesto è differente, perché differenti sono le aspettative del committente. Le soluzioni tecnologiche permettono di ridurre i tempi di attraversamento dei processi e i loro costi di gestione e sono frutto di competenze elaborate in base a esperienze specifiche e derivanti da una specifica cultura che disegna processi e pratiche secondo schemi definiti, a volte difficili da adattare e modificare. Questa circostanza conduce a concentrare la vendita sugli aspetti tecnici, trascurando i fattori umani e gli aspetti culturali, dando per scontato che la semplice implementazione risolverà il problema. Quest’ultimo aspetto, che deriva dall’aura mistica che circonda la tecnologia e dall’illusione che renda ogni risultato possibile, influenza le decisioni di acquisto e di avvio dei progetti: il committente decide sperando che lo strumento in sé possa sopperire a deficienze organizzative o a processi inesistenti o impostati in modo approssimativo. Il risultato, tuttavia, può essere l’opposto di quello che si era sperato all’avvio: la tecnologia mette in evidenza, anziché sanarle, le carenze culturali e organizzative del committente, aprendo un ventaglio di conseguenze negative per tutti gli stakeholder coinvolti. Il committente acquista consapevolezza di doversi adeguare, e di dovere investire ulteriori risorse, e può essere tentato dal recedere dal progetto per ridurre al minimo la perdita economica[2].

La cessione di conoscenza nei progetti

ad alto contenuto tecnologico

Se il cliente non è preparato in modo adeguato a utilizzare la soluzione acquistata, quantomeno deve essere cosciente del divario che è necessario colmare, in termini di competenze, per raggiungere il risultato desiderato. Tuttavia, chi vende la soluzione è spesso consapevole che la creazione di questa consapevolezza ostacola l’avvio del progetto o la stessa decisione di acquisto, ma la sua omissione rimanda la scoperta del problema.

In conseguenza, quando si passa alla fase esecutiva del progetto chi lo esegue, anche se la sua attività primaria è la vendita di una soluzione tecnologica, tende a cedere in modo incontrollato una forte quantità di conoscenza, per garantire l’uso di tale soluzione. Anche se non vengono ceduti segreti industriali, il cliente riceve competenze, ad esempio, sull’impostazione o su pratiche di esecuzione dei processi che, al pari della tecnologia venduta, generano efficienza e valore.

La perdita economica legata alla cessione di conoscenza non si limita al tempo speso in attività non remunerate, che possono comunque ridurre in modo importante la marginalità e quindi il profitto, ma genera effetti negativi anche sulla reputazione e sul valore del marchio dell’organizzazione e sulla perdita di opportunità di vendita: le attività non remunerate, infatti, debbono essere realizzate nel minor tempo possibile per ridurre i costi, circostanza che conduce a improvvisare le sessioni formative assegnandole a tecnici non preparati a tale scopo.

La dispersione di conoscenze

Un altro aspetto della gestione della conoscenza che genera perdite economiche, è legato alla dispersione delle conoscenza generate dalle organizzazioni determinata da molteplici cause: le persone considerano, a giusta ragione, che le competenze di cui dispongono costituiscono una fonte di potere o quantomeno di sicurezza della loro posizione lavorativa e, se la cultura aziendale è molto competitiva, tendono a concedere il loro sapere, a trasmettere le loro competenze con diffidenza, o a non cederle affatto, con la conseguenza di perderle con l’avvicendarsi delle persone

In un ambiente in cui sia presente, al contrario, una cultura di condivisione delle conoscenze, che premi chi abbia escogitato nuove soluzioni, emerge come aspetto problematico la difficoltà di codificare e preservare in modo sistematico le conoscenze acquisite. Questo processo è dispendioso[3] e viene eseguito spesso, a causa o di urgenze o di un’impostazione culturale non adeguata, in modo non strutturato risultando poco efficace.


[1] Come è stato sottolineato da più autori quali ad esempio Robert Grant (Grant, 2021) e Ikujiro Nonaka (Nonaka, 2007).

[2] Il committente in questo caso subisce quella che Edgar Schein, mutuando il modello del campo di forze di Lewin, ha definito Learning Anxiey (Schein & Schein, 2017), la forza che tende a mantenere lo status quo.

[3] Per una descrizione si veda l’articolo “Cultural Aspects of Lessons Learned” (Costa, 2024), citato in bibliografia.

  Luca Costa

Business Transformation Expert

Foto: Cipro - Sito Archeologico di Kourion (Credit: L. Costa)

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Formazione continua per competere nel mercato globale

Come ogni anno, sono stati pubblicati dalla Fondazione Agnelli i dati sui migliori istituti di istruzione secondaria: un’occasione per riflettere sulla necessità di rendere continuo il processo di formazione nella vita lavorativa e sull’opportunità da parte delle imprese di costruire una propria “Academy”

Eduscopio 2024: bussola per aiutare i giovani a scegliere il proprio futuro

Nel panorama educativo italiano torna l’annuale appuntamento con Eduscopio, la piattaforma della Fondazione Giovanni Agnelli: uno strumento, ormai alla sua undicesima edizione, che offre una valutazione approfondita degli istituti di istruzione secondaria superiore delle varie città italiane. Analizzando i risultati universitari e lavorativi dei diplomati, il progetto si pone l’obiettivo di aiutare famiglie e studenti a scegliere il percorso di studi più adatto alle loro ambizioni. I criteri di analisi includono esami sostenuti, media dei voti, tasso di occupazione e coerenza tra il percorso di studi e l’attività lavorativa.

L’edizione attuale si basa su dati relativi a circa 1.347.000 diplomati distribuiti in 8.150 indirizzi scolastici, suddivisi per tipologia di scuola e area geografica. Questo grande database permette di confrontare le scuole e di identificare quelle più performanti in base a parametri oggettivi. Per le famiglie, spesso indecise di fronte alla varietà di opzioni disponibili, Eduscopio rappresenta una bussola utile per orientarsi nel mare delle offerte formative.

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La scelta della scuola superiore è, per molti studenti, il primo grande passo verso il futuro. È un momento cruciale in cui si gettano le basi per il percorso universitario o lavorativo. Secondo i dati raccolti, circa il 40% dei diplomati tecnici e la maggioranza degli studenti dei licei prosegue gli studi in ambito accademico. Al contrario, una parte significativa dei diplomati tecnici e circa l’80% degli studenti provenienti dagli istituti professionali si inserisce direttamente nel mercato del lavoro.

Tra i licei più prestigiosi figurano il Volta a Milano e il Righi a Roma, seguiti da scuole come il Leonardo Da Vinci di Jesi e il Marie Curie di Savignano sul Rubicone. Tuttavia, la classifica evidenzia anche realtà scolastiche in zone meno privilegiate che riescono comunque a garantire una formazione di alto livello. Tali risultati dimostrano l’importanza di un sistema educativo capace di offrire opportunità di qualità all’intera platea studentesca, indipendentemente dal contesto socioeconomico.

La formazione continua: una necessità per affrontare il cambiamento

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Oltre al periodo scolastico, emerge sempre più chiaramente l’importanza della formazione continua durante tutta la vita lavorativa. L’evoluzione tecnologica e la trasformazione del mercato del lavoro si muovono a una velocità senza precedenti, rendendo indispensabile un costante aggiornamento delle competenze. Per rimanere competitivi, aziende e organizzazioni devono garantire ai propri dipendenti strumenti di apprendimento flessibili e mirati.

La formazione, vista come aggiornamento (up-skilling) o creazione di nuove competenze (re-skilling) non è più un’opzione, ma una necessità per adattarsi ai cambiamenti strutturali che caratterizzano il mondo del lavoro odierno. Innovazioni come l’intelligenza artificiale, la robotica e la digitalizzazione stanno rivoluzionando il panorama professionale, richiedendo nuove competenze e una maggiore capacità di adattamento. In questo contesto, la creazione di strutture dedicate all’apprendimento, come le Academy aziendali, rappresenta una soluzione concreta per gestire tali sfide.

Le Academy aziendali: un modello per la gestione della conoscenza

Il modello delle Academy si basa sull’idea di costruire una struttura interna che si occupi della gestione della conoscenza, nota come knowledge management. Queste organizzazioni hanno il compito di proteggere e valorizzare il patrimonio di competenze tecniche e specialistiche dell’azienda, garantendo che queste vengano trasferite ai dipendenti e ai partner esterni in modo efficace.

L’obiettivo principale di un’Academy aziendale è duplice: da un lato, assicurare che il sapere aziendale sia preservato e continuamente aggiornato; dall’altro, favorire lo sviluppo di competenze strategiche per rispondere alle esigenze del mercato. Questo approccio consente alle aziende di distinguersi dalla concorrenza, aumentando la loro capacità di innovare e adattarsi ai cambiamenti.

La creazione di un’Academy è un progetto complesso, che richiede il coinvolgimento di diversi attori e una pianificazione attenta. Il modello di gestione della conoscenza elaborato da Milton e Lambe offre una guida utile per strutturare tale iniziativa. Questo approccio vede la gestione della conoscenza come un processo dinamico e continuo, che si sviluppa attraverso l’interazione tra persone, processi e tecnologia.

Per realizzare un’Academy efficace, è fondamentale considerare alcuni fattori chiave:

  1. Condivisione della conoscenza tacita ed esplicita: promuovere una cultura aziendale orientata alla collaborazione e allo scambio di informazioni.

  2. Interazione e scambio di esperienze: creare occasioni di confronto tra dipendenti per favorire l’apprendimento reciproco.

  3. Utilizzo di tecnologie avanzate: integrare strumenti digitali che facilitino la gestione e la diffusione della conoscenza.

  4. Apprendimento continuo: offrire percorsi di formazione regolari e adattati alle esigenze del personale.

L’implementazione di questi elementi trasforma la gestione della conoscenza in un vantaggio competitivo, permettendo alle aziende di migliorare le proprie performance e di rispondere in modo più efficace alle sfide del mercato.

La conoscenza rappresenta oggi una delle risorse più preziose per le organizzazioni. Tuttavia, per essere realmente efficace, deve essere gestita in modo strategico e integrata nei processi aziendali. Non è sufficiente delegare la formazione al sistema educativo tradizionale; le aziende devono assumersi la responsabilità di creare un ecosistema che favorisca l’apprendimento e l’innovazione.

In un mondo sempre più globalizzato e competitivo, le Academy aziendali rappresentano un’opportunità unica per le organizzazioni di tutti i settori. Investire nella creazione e nello sviluppo di queste strutture non è solo una scelta lungimirante, ma una condizione indispensabile per garantire il successo a lungo termine.

conclusioni

In sintesi, la combinazione di una solida formazione scolastica e di un efficace sistema di aggiornamento professionale costituisce la base per lo sviluppo di una forza lavoro competente e adattabile. Iniziative come Eduscopio evidenziano l’importanza di scegliere scuole che preparino gli studenti alle sfide future, mentre le Academy aziendali dimostrano come la formazione continua sia una leva strategica per il successo organizzativo.

Investire nella conoscenza non è solo un dovere morale, ma un requisito per competere in un mercato globale in continua evoluzione. Le aziende che sapranno cogliere questa opportunità saranno quelle che guideranno il cambiamento, ponendosi come leader nei loro settori.

Andrea Calisti

Business Transformation Expert


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Certificazione PMP® del PMI: testimonianze a favore

BluPeak crede fermamente nel valore della certificazione PMP® (Project Management Professional) del PMI (Project Management Institute), tanto che proprio i percorsi di preparazione per il suo conseguimento sono una delle attività della nostra Academy.

A tal riguardo ci ha fatto molto piacere raccontare la testimonianza di due professionisti divenuti PMP® dopo un percorso curato da BluPeak: Raffaella Battaglia e Mauro Manzetti.

Entrambi lavorano presso Tesar SpA:

Raffaella Battaglia è Delivery Manager e Mauro Manzetti è Chief Operating Officer.

Tesar SpA da più di 30 anni fornisce sistemi per la raccolta dei dati, per la pianificazione, il controllo e la gestione della produzione oltre che della qualità dell’industria.

Raffaella, che lavora con un team di quindici persone, coordinando anche professionisti esterni, ci spiega che «in Tesar, il ruolo del Delivery Manager negli ultimi anni è cambiato, evolvendosi verso una gestione di tipo PMO; significa che al coordinamento si aggiunge la collaborazione, la facilitazione: fornire gli strumenti, le best practice e i template necessari per organizzare e pianificare al meglio la gestione dei progetti. E in effetti è questo il grosso obiettivo che mi do quotidianamente: Kaizen, un miglioramento continuo, per ottenere il quale ho sviluppato, soprattutto dopo il percorso per la certificazione, intelligenza emotiva, soft skill e la capacità di essere “vision oriented”, con un focus quindi sul valore che viene consegnato anziché su ciascun singolo deliverable.»

Il Chief Operating Officer, invece, cioè Mauro, è «il riferimento manageriale di tutti i responsabili di funzione. Il mio principale compito in Tesar è fare in modo che le attività operative si svolgano con fluidità ed efficienza secondo le regole stabilite e applicando la strategia aziendale.» Oltre al coordinamento dei team leader, Mauro si pone come servant leader a supporto di tutti i colleghi, e dunque mette in pratica significative capacità organizzative e di problem solving, oltre che la negoziazione e poi l’active listening, il conflict management e il mentoring, ovvero skill proprie della comunicazione.

Ma proviamo a capire cos’è scattato in loro, tanto da decidere di affrontare il percorso che li avrebbe portati al conseguimento della certificazione PMP®.

«In primis la voglia di migliorarsi», ci dice Mauro. «Noi proponiamo soluzioni software volte a gestire il miglioramento continuo, ed è in quest’ottica, per offrire servizi sempre più validi ai nostri clienti, che abbiamo deciso di intraprendere il percorso per la PMP®. L’altro obiettivo è stato quello di standardizzare le nostre procedure e documentazioni in linea con le migliori pratiche di project management riconosciute a livello internazionale.»

Quando fu proposto il corso per la certificazione, Raffaella aveva appena cambiato ruolo, da PM a manager di un team numeroso. «Ciò rappresentava per me una sfida, ulteriori energie da mettere in gioco, responsabilità, stress e soprattutto tanto lavoro. Il PMP® avrebbe assorbito una consistente dose di queste preziose energie, perciò risposi No grazie, come se avessi accettato!» Purtroppo per lei, però, quest’opzione non era prevista e il suo capo la iscrisse ugualmente…  

I momenti ostici non sono mancati per entrambi e più volte hanno pensato di lasciar perdere: la cosa più gravosa fu, naturalmente, conciliare il già sostenuto ritmo e le responsabilità lavorative con lo studio. «Di aiuto è stato il fatto che abbiamo sempre cercato di studiare in gruppo o comunque di fare sessioni di test insieme», racconta Mauro. Mentre Raffaella, con la sua schiettezza, ci confessa che a mo’ di mantra ripeteva Ma chi me l’ha fatto fare?, e poi «aggiungevo l’accusa Accidenti a te! rivolta al mio capo, a cui avevo spiegato che non sarebbe stata una passeggiata di salute e col quale studiavo di notte via Teams.»

La disponibilità costante da parte dei docenti di BluPeak – a cui Raffaella e Mauro riconoscono grande competenza –, il confronto con loro, i consigli e i suggerimenti ricevuti per arrivare preparati all’esame, oltre che il rapporto instaurato con i colleghi delle altre aziende – un mix fra collaborazione e sana competizione professionale –, sono stati un insieme di elementi che secondo la loro opinione hanno giocato a vantaggio.  

E allora alla fine, dopo, «la soddisfazione per il risultato è stata tanta e lo sforzo fatto è valso assolutamente la pena!». Questa è l’affermazione di Mauro, sulla cui scia Raffaella ci regala un racconto molto personale e coinvolgente.

«Ritrovarsi alla soglia dei cinquant’anni con un ruolo da manager appena assegnato, una famiglia e una bambina di nove anni che, giustamente, richiede tempo e attenzioni, è stata la sfida più grande. Mi ritrovavo a studiare ovunque. Man mano che andavo avanti, però, mi appassionavo agli argomenti e all’idea di ottenere una certificazione così prestigiosa, io che avevo mollato l’università… Ecco, per me rappresentava anche un’opportunità di riscatto! Quasi tutte le sere mia figlia si addormentava con l’immagine della mamma che studiava. Ricordo un giorno in cui ero particolarmente esasperata e sbottai: “Basta! Non ce la faccio più, mollo qui!”. E mia figlia mi disse: “Mamma, e tutto lo studio che hai fatto finora? Vuoi davvero buttarlo nel secchio?!” Fu una bella lezione e soprattutto il giusto stimolo ad andare avanti, per me stessa e per ciò che lei avrebbe voluto vedere in sua madre: una che non molla! Ammetto che quando arrivò il risultato del superamento dell’esame, piansi…»

Sia per Mauro che per Raffaella, già durante il periodo di studio è cambiato il loro approccio agli impegni aziendali di ogni giorno, perché, di fatto, come dice Mauro, «è stato mettere nero su bianco, con procedure anche abbastanza articolate, il lavoro quotidiano. Un processo che ti arricchisce in quanto ti procura gli strumenti per interpretare più approfonditamente ciò che avviene durante le varie fasi di un progetto.»

«Mentre studiavo», ci racconta Raffaella, «si consolidava sempre di più in me il convincimento che i temi della PMP® devono necessariamente essere applicati per ottenere il successo di un progetto. Ho cambiato approccio mettendomi ‘al servizio’ dei miei collaboratori nel facilitare la gestione e la comunicazione fra i vari reparti aziendali. Non a caso, ora professo anche ai nuovi arrivati le tecniche di gestione dei progetti come insegna il PMI.»

Ringraziando ancora Raffaella Battaglia e Mauro Manzetti per il tempo, la disponibilità e la trasparenza, chiediamo loro di salutarci con un invito rivolto a chi fosse titubante nei confronti della certificazione.

«Col senno di poi è più facile dirlo», ammette Raffaella, «ma vi garantisco che è così: l’esame è impegnativo ma fattibile; non occorre imparare a memoria, bensì capire bene i processi e le logiche di base. Consiglio: condensate lo studio evitando di procrastinare l’esame; quindi appena si è studiato tutto, è bene pianificare la data dell’esame e continuare la preparazione con quell’obiettivo. Quando lo raggiungerete, vi sentirete forti e vi verrà voglia di pensare al successivo… Attenzione: crea dipendenza!»

E Mauro: «È sicuramente un percorso oneroso e non banale, ma altrettanto sicuramente accresce la conoscenza e gli strumenti per operare più efficacemente sui progetti. Un suggerimento è quello di ritagliarsi dei tempi tutti i giorni, anche solo mezz’ora, per studiare e fare i test. Credetemi, benché sembri impossibile, citando Gene Wilder vi dico: Si può fare!»

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La certificazione PMP® e il suo valore

I pensieri e i consigli di due docenti

Silvia Martellos


Proponiamo di seguito alcune riflessioni sulla rilevanza della certificazione PMP® (Project Management Professional) del PMI (Project Management Institute).




Dalia Vodice


Lo facciamo grazie al contributo delle docenti Dalia Vodice e Silvia Martellos, professioniste del progetto e della formazione che vantano una lunga esperienza di preparazione alla certificazione PMP®, in collaborazione con BluPeak Consulting e all’interno dei programmi della BluPeak Project Academy.



Il valore della professione del Project Manager

Il progetto è una parte fondamentale della cultura organizzativa di ogni realtà: cultura della trasformazione e della produzione di valore. Il progetto rappresenta un modello di lavoro sempre più cruciale in qualsiasi organizzazione, non più relegato a supporto delle operation, ma motore diretto di crescita del business dell’azienda, nel mondo della Project Economy. Per questo, investire nelle competenze di project management significa dotarsi di strumenti versatili e potenti, richiesti in ogni contesto.

Il valore aggiunto della certificazione PMP® per il professionista e sul mercato

Si tratta di un grande valore, se pensiamo soprattutto che si tratta di una certificazione che non si è bloccata agli strumenti del passato, ma ha saputo aggiornarsi costantemente. E che inoltre integra tutti gli approcci (predittivo, incrementale, iterativo, agile, ibrido) predisponendo al tailoring e alla leadership, alla gestione delle risorse, alla comunicazione, al risk e al change management.

Pur non essendo l’unica certificazione, e pur esistendo nel mondo altre organizzazioni professionali di project management, con altri tipi di certificazioni, la PMP® del PMI rimane a nostro avviso la più richiesta, la più nota, e quindi di maggior peso se rilevata all’interno di un curriculum.

Prepararsi a tale traguardo significa costruirsi una grande opportunità per sistematizzare la conoscenza relativa al progetto. Il corpo di conoscenze è vasto e contiene le best practice distillate dalla comunità internazionale dei Project Manager; questo comporta per il candidato la cosiddetta sospensione del giudizio: non lasciarsi troppo influenzare dalle proprie pratiche passate, seppur efficaci, e aprirsi a un universo più ampio.

I principali cambiamenti culturali in seno al PMI, più decisivi per la comunità dei Project Manager

Tra i cambiamenti degni di nota, sicuramente l’ampliamento della visuale: i diversi approcci, il tailoring, una maggior sinergia con le discipline del Change Management e della Business Analysis, e un’attenzione più alta alla cultura della progettualità e alla costruzione di un galateo comportamentale del Project Manager. Tutti elementi, questi, presenti all’interno della nuova impostazione dell’esame PMP®.

Consigli a chi sta pensando di lanciarsi nella sfida…

I corsi interaziendali rappresentano un’occasione preziosa di confronto con settori, organizzazioni e pratiche diverse dalle proprie, oltre che un’opportunità di networking.

Ogni aspetto teorico viene reso vivo dalla condivisione di aneddoti e di esperienze professionali differenziate. Poiché l’impegno richiesto è notevole – va detto con chiarezza –,  quando si decide, è importante mettersi nella condizione di poter studiare con regolarità durante l’intero percorso e mirare a sostenere l’esame a stretto giro, per ottimizzare il valore della conoscenza acquisita.

Vince la costanza, il fatto di riuscire a fare un pezzettino ogni giorno; ed è importante trovare all’esterno dei sostenitori che aiutino a mantenere la continuità e a non perdersi d’animo. Ma non vogliamo spaventare: si tratta di un esame fattibile e di grande soddisfazione!

È un’esperienza che noi di BluPeak paragoniamo alla Montagna Blu, richiamata nel nostro logo… Usiamo quest’espressione come metafora di un cammino in ascesa, da compiere insieme, con aiuto vicendevole e complicità nei momenti di difficoltà, ma vòlti alla medesima meta, la cima, raggiunta la quale si torna a valle con un inevitabile quanto significativo cambiamento.

  

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Globalizzazione: fine dei giochi?

Globalizzazione: dopo 25 anni sembra necessario un cambiamento di approccio

Foto di Paul Brennan - Pixabay

Il mondo industriale italiano è ancora in fermento. Nell’automotive, in questi giorni sono circolate voci sull’arrivo in stabilimenti italiani della produzione di auto elettriche di origine cinese, date in appalto per salvare i livelli occupazionali.

Quasi nello stesso tempo è apparso sul Corriere della Sera un articolo dal titolo “Pannelli fotovoltaici, tutti i numeri del dominio cinese: la transizione green passa solo da Pechino”, nel quale  la Redazione Economia del quotidiano milanese, partendo dai numeri pubblicati in un rapporto ENEL-Ambrosetti, mette in evidenza la condizione di difficoltà in termini di competitività in cui si trova l’Europa, a causa di costi operativi in ingresso molto più alti di quelli cinesi e di una filiera priva di economie di scala.

Foto di Sumanley xulx - Pixabay

Questi due casi – a prescindere dalle riflessioni specifiche di molti commentatori – sono, a mio avviso, un esempio dell’effetto che la cosiddetta globalizzazione, tanto incoraggiata in passato, ha prodotto: il depauperamento e il declino tecnologico di intere filiere industriali del nostro continente.

Negli anni dell’immediato dopoguerra (tra i ’50 e i ’70 del XX secolo) alcuni paesi sono stati oggetto di iniziative industriali volte a riutilizzare tecnologie e ad esportare prodotti divenuti ormai obsoleti in Europa, con lo scopo di dar loro una “seconda giovinezza”, allungandone il ciclo di vita e ricollocando contemporaneamente – in tutto o in parte – i macchinari impiegati per la loro realizzazione.

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Successivamente, in particolare dopo la caduta del Muro di Berlino e grazie alle aperture dei governi locali, molte aziende hanno visto nei mercati asiatici, come quello cinese, sia un serbatoio di manodopera a costi convenienti, sia un potenziale sbocco per i propri prodotti. Ecco, quindi, che intere produzioni sono state spostate dall’Europa o sono state addirittura sviluppate e industrializzate sul posto. Questo processo ha favorito la nascita e lo sviluppo di capacità tecniche locali, mentre in Europa si è assistito a un progressivo depauperamento tecnologico di interi settori industriali – come quelli citati ad esempio - che hanno perso, complici anche visioni industriali e politiche inadeguate, linfa vitale nello studiare e implementare nuovi prodotti e tecnologie; la stessa linfa che negli anni ha invece arricchito e trasformato in concorrenti agguerriti i paesi che erano visti come territorio, se non di conquista, almeno di colonizzazione industriale.

Oggi il risveglio è brusco. Ci accorgiamo di essere rimasti indietro in settori tecnologici cruciali e fatichiamo a tenere/recuperare il passo.

Questa situazione tende a essere preoccupante se consideriamo le potenziali ripercussioni dei conflitti esistenti in diverse parti del mondo (in Ucraina, ma anche in Medio Oriente e in Africa), per non parlare dei rapporti USA-Cina, che potrebbero condizionare la disponibilità di prodotti e tecnologie sui quali non abbiamo più la capacità di governo.

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Oltre ai fattori di cui sopra, anche i cambiamenti climatici impongono una riflessione sull’impatto ambientale dei trasporti delle merci, rendendo sempre più urgente la definizione di una nuova politica industriale che possa rilocalizzare le produzioni e ridare energia a interi comparti della manifattura europea.

È questa una trasformazione di business che impatta su un intero continente e che richiede una nuova visione per recuperare, salvaguardare e mettere al centro delle scelte strategiche la dimensione locale di territori capaci di esprimere ancora elevati livelli tecnologici e manufatturieri.

È necessario che tale visione trovi spazio e applicazione in tutti quei settori, dai beni strumentali materiali, all’informatica e allo sviluppo dei software, le cui applicazioni consentono il funzionamento dei diversi comparti dell’economia.

Per applicare una siffatta strategia con successo, uno strumento è senza dubbio la creazione e lo sviluppo di centri di formazione, sia da parte delle istituzioni pubbliche che delle aziende. Accademie che possano favorire la conservazione e la continuità dei saperi e delle competenze, ma anche il loro incremento attraverso la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti e processi sempre più efficienti e sostenibili per l’intero ecosistema.

 

 Andrea Calisti

Business Transformation Expert

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