Musica e Project Management: due mondi complementari?


I’m the eye in the sky
Looking at you
I can read your mind
I’m the maker of rules
Dealing with fools
I can cheat you blind

Eye in the Sky – Alan Parsons Project


Siamo nel 1982. L’ingegnere del suono inglese Alan Parsons, insieme al suo socio Eric Woolfson, decide che è arrivato il momento di dar vita a un prodotto unico e irripetibile che possa assecondare il suo spirito “romantico” dell’epoca, traducendo in suoni e musica quello che è il suo sentire personale, e che possa essere espressione delle tante esperienze accumulate in quegli anni come produttore di importanti lavori musicali coi Beatles e coi Pink Floyd. Tale prodotto è un album, Eye in the Sky. E per realizzarlo, Parsons e Woolfson radunano un team – analogo e differente rispetto ai loro lavori precedenti – in grado di tradurre la loro idea in qualcosa di concreto, comunicabile e spendibile sul mercato. Lo sforzo temporaneo di tale impresa è sostenuto da un progetto aziendale, che si chiama, appunto, Alan Parsons Project. 

Eye in the Sky si rivelerà essere il più grande successo commerciale del duo, grazie anche alla traccia che dà il nome al disco, la quale diventerà una pietra miliare del prog-rock. L’eye in the sky è un chiaro riferimento al Grande Fratello di George Orwell, ossia al crescente controllo a cui siamo costantemente sottoposti con la tecnologia; la connotazione che viene data da Parsons e Woolfson all’occhio nel cielo è ovviamente negativa. Parsons dirà in un’intervista: «Il concept alla base dell’album Eye in the Sky è una sorta di Grande Fratello che ti guarda continuamente, come se fosse una videocamera sempre presente o un elicottero che ti sorveglia in ogni istante e che dal cielo può leggere addirittura i più piccoli caratteri stampata su un giornale».

Sguardo dall’alto, visione ampia in grado di abbracciare la totalità, esercizio di un potere, capacità di leggere tra le righe: fate ascoltare la traccia a un project manager e la prima immagine che gli verrà in mente è… proprio quella del project manager! La letteratura infatti definisce il project manager come colui che ha lo sguardo “a mile wide and an inch deep”, ovvero come colui a cui è richiesto lo sviluppo della capacità di saper interpretare le situazioni come un elicottero o un drone, con una visione ampia e completa sul progetto. Il project manager ha un ruolo di potere che gli è stato affidato da uno sponsor, proprio come l’occhio nel cielo, ma, a dispetto della canzone, affinché sia un vero leader è importante che l’esercizio del suo potere non sia panottico. Un vero leader di progetto infatti non è costantemente attaccato all’operato del proprio team, assoggettando i colleghi con la paura e con un controllo disciplinare analogo a quello del Grande Fratello, ma è colui che per primo dà l’esempio, sfruttando il suo potere per abilitare gli altri a esprimere il meglio di sé. Attraverso uno sguardo d’insieme il project manager si assicura che le parti, più o meno armoniosamente, lavorino come se fossero un unico organismo, come il cervello guida il corpo senza voler dominarlo. Il fine del project manager infatti è sempre la buona riuscita del progetto, che è unico e temporaneo; una volta finito il progetto, è finito il mondo e si inizia un nuovo percorso nel quale, magari, ci si ritroverà a dipendere da un altro project manager. Un leader che si comportasse come l’occhio nel cielo descritto da Alan Parsons, ossia che detta legge (senza ascoltare gli altri) – “I’m the maker of rules” – e che frega i propri compagni di team – “I can cheat you blind” –, probabilmente non avrebbe vita lunga!  

Nella canzone e nelle vicende che hanno portato alla realizzazione di Eye in the Sky vediamo tanto project management, sebbene l’ambito non sia quello strettamente aziendale o organizzativo. Da esempi come questi però possiamo imparare molto. Non sappiamo di preciso come sia stata la produzione dell’album, ma, dato il successo che il progetto ha poi ottenuto, siamo abbastanza certi che il lavoro capitanato da Alan Parsons sia stato condotto alla grande. In questo album, infatti, troviamo una gran complessità, data dall’utilizzo di un’orchestra, di diverse voci, dell’introduzione di una traccia suonata interamente da un computer per la prima volta nella storia: c’è tanta sperimentazione, ci sono tanti rischi. Immaginiamo che non sia stato facile tenere insieme tutto ciò e che per farlo Alan Parsons abbia dovuto sfruttare una notevole tecnica di project leader, probabilmente inconsciamente. Ciò che possiamo dire con certezza però è che il fine di Parsons era quello di portare alla luce un’idea, ossia un progetto inteso come design, e che per farlo abbia fatto suonare al meglio tutto quanto il suo team, ponendosi in maniera ben diversa dal suo occhio nel cielo. Il project leader infatti sta al progetto un po’ come nel prog-rock la melodia sta alla canzone, la quale può essere creativa, singolare e di successo solo perché c’è una sezione ritmica che la sostiene. È quello che avviene tra project manager e team. Ed è ciò che avviene nelle nostre aziende (e nei nostri organismi) anche coi processi, i quali con la loro ripetitività a tratti noiosa permettono la buona riuscita dei progetti. 

L’esempio tratto da Alan Parsons ci serve dunque per mostrare come due ambiti differenti tra loro, quello musicale e quello aziendale, possano stare insieme in maniera sensata. Mettere insieme musica e project management all’interno di un workshop può sembrare infatti una commistione tanto affascinante quanto azzardata: affascinante perché il mondo musicale, così come quello artistico o più in generale umanistico, è in grado di conferire una tonalità fresca e colorata alle pratiche che mettiamo in atto tutti i giorni nei contesti aziendali, portando un punto di vista differente e innovativo; azzardata invece perché il rischio è quello di voler tenere insieme a tutti i costi “capra e cavoli”, ossia di finire col ritrovarsi immersi in qualcosa totalmente altro rispetto a ciò che ci sta a cuore nel lavoro di tutti i giorni, magari per seguire la moda del momento che ci invita a investire in competenze trasversali anche quando queste non hanno alcun senso apparente ai fini della nostra professione. Va bene prendersi un momento di svago e di crescita in ambiti lontani rispetto al nostro abitudinario, ma che non sia fine a sé stesso. Stiamo pur sempre parlando di lavoro! Il senso del quarto appuntamento della BluPeak Summer School è proprio quello di accettare questa sfida, sfruttando una metafora interessante, come quella musicale, per ritinteggiare il mondo tecnico del progetto e, al contempo, per comprendere come tante dinamiche apparentemente fantasiose e creative del mondo musicale siano in realtà intrise di gestione dei progetti, come abbiamo visto appunto nel caso di Eye in the Sky. Il workshop Orchestrare il progetto di venerdì 5 luglio, tenuto dalla competente Dalia Vodice – pianista diplomata in conservatorio e allo stesso tempo project manager con titolo PMP® – sarà un’esperienza unica nel genere dell’incontro tra questi due mondi intorno al tema del team, della leadership, del rapporto tra progetto e processi. Con l’auspicio che grazie alla partecipazione a questo workshop diventiamo tutti quanti più bravi non solo nella gestione dei nostri progetti, ma anche nella realizzazione delle nostre idee romantiche, come ci ha insegnato Alan Parsons.


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“Orchestrare il progetto”

La musica come strumento naturale per il lavoro in squadra