La meta del cambiamento… Un viaggio in 4 tappe - TERZA TAPPA

Quattro incontri su alcune tematiche connesse alla trasformazione organizzativa


26 marzo - 4 luglio - 3 ottobre - 13 dicembre 2024

I quattro webinar, organizzati da Blulink srl, di cui BluPeak è partner, presentano la meta del cambiamento come una cima, impegnativa ma al contempo alla portata di tutti, da raggiungere con adeguati strumenti culturali, cognitivi e metodologici.




Dopo la prime due tappe, curate da Stefano Setti e da Luca Costa, è la volta di Andrea Calisti, Business Transformation Expert del Team BluPeak, che ci accompagnerà nel “Campo 2”.


Il suo intervento, Risk Management e Compliance: garantire la continuità nel cambiamento, è in programma per giovedì 3 ottobre 2024, online, dalle 11:30 alle 12:15.

Per ulteriori informazioni e per la registrazione al webinar, cliccate sul link di Blulink.

BluPeak & la musica brasiliana

BluPeak sponsor di Casa Bahia ’24

È così che inizia il nostro settembre 2024, con la partecipazione e il sostegno a Casa Bahia ’24, la prima edizione del festival di musica brasiliana ospitato a Modena sabato 14 e domenica 15 settembre, col patrocinio del Comune di Modena - Modena City of Media Arts, e grazie alla generosa accoglienza dell’agriturismo Omega.







L’idea della kermesse è di Mikis Lugli e Rogério Tavares (in foto), musicista e compositore brasiliano da molti anni in Italia: creare, attraverso la musica, un ambiente di casa – da cui il nome Casa Bahia – come luogo di festa, ascolto e condivisione con vecchi e nuovi amici.




Ma che c’entra BluPeak con la musica brasiliana?

Innanzitutto BluPeak, che si occupa di cambiamento organizzativo, da sempre si muove dalla convinzione che il business è cultura.

Fin dalla sua fondazione ha promosso un approccio in cui al centro è la persona e non vi devono essere barriere fra i saperi, né categoriche separazioni tra ciò che attiene alle organizzazioni e ciò che attiene alla persona, in senso umanistico.

Quindi, eccoci a nutrirci di cultura e a sostenerla. Ma perché proprio la musica brasiliana?

Foto non soggetta a Copyright

Che anche nel petto di ogni stonato

C’è un cuore che batte

(João Gilberto)

Troviamo nella musica brasiliana tante lezioni universali, tutte umili perché popolari:

  • la collaborazione fra i musicisti, il modo in cui scrivono musica assieme, si ospitano uno nei dischi e nei concerti dell’altro con naturalezza;

  • il meraviglioso connubio fra popolare e colto: la stessa matrice fa ballare le folle nei carnevali ed è adottata con meraviglia e rispetto dai più grandi jazzisti di tutte le scuole;

  • l’elogio del “desafinado” (parola che significa stonato, titolo di un brano bandiera del grande padre della bossa nova João Gilberto), quella leggerezza – la famosa leggerezza calviniana – che appare frutto di nessuna fatica, mentre dietro…;

  • il culto della diversità, la pratica del sincretismo, non solo religioso ma anche musicale, l’ibridazione come modo per accedere al sublime;

  • il rigore con cui tutti i suoi esponenti, di ogni generazione, studiano innanzitutto come musicisti, prima di apparire come star dello show system;

  • l’autenticità con cui i musicisti testimoniano, a parole e con la propria opera, il fatto di essersi costruiti sulle spalle di giganti (i loro padri che hanno creato mondi musicali).

Casa Bahia ’24 è un progetto che non può lasciare indifferenti, in cui siamo stati coinvolti fin dall’inizio e che ci ha sorpreso per il coraggio visionario e la passione.

I musicisti, tutti di altissimo livello, hanno aderito con una straordinaria disponibilità, avendo certamente colto nell’iniziativa – seppur emergente e non sorta all’interno dei grandi circuiti dello spettacolo – un seme di purezza che merita di essere curato. E noi li ringraziamo per tale enorme generosità.

Melhor do que isso só mesmo o silêncio

Melhor do que o silêncio só João

Vi lasciamo con un consiglio di ascolto: Pra Ninguem, brano che chiude lo straordinario album Lìvro di Caetano Veloso, e testimonia la potenza del legame fra i musicisti brasiliani. Il testo è un elenco di emozionati ed emozionanti omaggi ai più grandi esponenti della musica popolare brasiliana, suoi amici di una vita.

Meglio di tutti questi suoni, che intrecciano un universo musicale patrimonio dell’umanità, è solo il silenzio… E meglio del silenzio è solo João.

Desideriamo cogliere e sostenere la speciale opportunità, che Casa Bahia offre, di seguire questi fili e queste voci.

Stefano Setti

CEO&Founder di BluPeak Consulting


BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA ORGANIZZATIVA

Fotografia&BluPeak

“Ci viene quello che c’è”: riflessioni in occasione della giornata mondiale della fotografia (19 agosto 2024)



La mia riflessione parte da un aneddoto vero.

A Reggio Emilia, tanti anni fa, alcuni decenni prima dei cellulari e delle macchinette automatiche per fototessere, c’era un famoso studio fotografico nella centrale via Emilia, punto di riferimento per chiunque avesse bisogno di foto per i documenti, oltre che per i matrimoni e gli altri eventi in cui un fotografo professionista era imprescindibile.

Un’anziana signora dovette rinnovare la foto per la carta d’identità, entrò in questo spazio sacro dalle luci soffuse, macchine già montate sui treppiedi e puntate sui fatidici sgabelli, dove il soggetto doveva accomodarsi e assumere la posa che il fotografo, burbero e sbrigativo sacerdote di questo tempio d’altri tempi, ti faceva assumere, tipicamente con spalle diagonalizzate alla Lilli Gruber e testa reclinata come le sue dita impostavano, usando il tuo mento come un joystick. Dopo la trepidante attesa dello sviluppo, il fotografo consegnò alla signora le foto. Guardandole, la signora disse al fotografo, in dialetto come si usava allora anche fra persone istruite (anche se ora lo traduco): «Come sono venuta brutta!»
E il fotografo, con schiettezza e sempre in dialetto, rispose: «Signora, ci viene quello che c’è!»

È proprio vero che in fotografia “ci viene quello che c’è”?

Io penso di no, ed è proprio questa illusione la trappola più affascinante e intrigante della fotografia: la foto non può essere la resa asettica di qualcosa che c’è, non è documentazione, è sempre lettura, una lettura unica, istantanea, fatta da un soggetto sempre interferente, manipolante e interpretante. Questo spazio meraviglioso e ambiguo ricorda quello dell’interpretazione musicale: la realtà fotografata sta alla foto come lo spartito sta all’interpretazione, che resta unica, irripetibile, non confondibile con nessuna altra e intrecciata con i fili della vita dell’interprete.

La diffusione dei cellulari, con i loro prodigiosi algoritmi aggiusta-tutto (che rappresentano davvero un miracolo di efficacia, che lascia ammirato chi ha imparato la fotografia misurando la luce con un esposimetro e scervellandosi nell’impostazione di tempi e diaframmi), ha amplificato questa illusione, quella di mostrare quello che c’è.

E probabilmente l’abitudine compulsiva a scattare immagini su immagini proiettate verso una condivisione social – alimentata dal “tanto non costa niente” e dalla citata sorprendente qualità tecnica – aggrava questa falsa cognizione di mostrare quello che c’è. Elio e le Storie tese, nel pezzo Lampo, hanno reso molto bene questa follia di scatti: “Con la tua digitale pixellata di pixel, moderna […] sai che mi hai davvero importunato con la dagherrotipia?"

"Billie Ray", di Maria Rivans

Tutto questo c'entra con il nostro mestiere? Io penso di sì, profondamente.

Che agiamo come formatori, o come consulenti, o come coach, come analisti per la comprensione dei bisogni, come leader di un team o di un progetto, noi facciamo continuamente fotografie, che in nessun caso possono mostrare quello che c’è. In questo nostro essere fotografi delle relazioni umane e delle organizzazioni nel cambiamento, siamo lettori e interpreti, interferiamo e interagiamo, perturbiamo, siamo parte del sistema che osserviamo. Ecco perché le antenne dell’etica devono essere sempre ben accese: il mito della neutralità non esiste (né, credo, sarebbe desiderabile): la nostra lettura rielabora sempre. E ringrazio perché è così!

Stefano Setti

CEO&Founder di BluPeak Consulting

Credit: Gabriella Caselli


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Decreto attuativo Transizione 5.0: BluPeak è presente per la Formazione 5.0

BluPeak Consulting, essendo in possesso della certificazione di qualità in base alla norma internazionale Uni En ISO 9001:2015 per il settore EA 37, è tra i soggetti abilitati a erogare formazione, secondo le regole previste dal decreto attuativo del piano Transizione 5.0, il cui testo ufficiale, integrale e definitivo è stato diffuso alla fine di luglio 2024.







Art. 8: attività di formazione

Specificatamente, all’articolo 8 di tale decreto viene detto che “sono agevolabili le spese per attività di formazione del personale, erogate da soggetti esterni all’impresa, con riferimento a percorsi di durata non inferiore a 12 ore, anche nella modalità a distanza, che prevedano il sostenimento di un esame finale con attestazione del risultato conseguito”. Tali spese devono essere collegate a investimenti in beni strumentali, secondo quanto riportato nello stesso decreto.

Le materie

Le materie che possono essere oggetto della formazione sono:

 Foto: Matthias Böckel - Pixabay

1.      Attività di formazione finalizzate all’acquisizione o al consolidamento delle competenze nelle tecnologie rilevanti per la transizione energetica dei processi produttivi


 


Foto: Pete Linforth - Pixabay

2.      Attività di formazione finalizzate all’acquisizione o al consolidamento delle competenze nelle tecnologie rilevanti per la transizione digitale dei processi produttivi



Importante

Un modulo di almeno 4 ore deve trattare una delle seguenti materie:

  • Integrazione di politiche energetiche volte alla sostenibilità all’interno della strategia aziendale

  • Tecnologie e sistemi per la gestione e efficace dell’energia

  • Analisi tecnico-economiche per il consumo energetico, l’efficienza energetica e il risparmio energetico

  • Impiantistica e fonti rinnovabili (produzione e stoccaggio energie da fonti rinnovabili)

Un altro modulo, sempre di almeno 4 ore, deve trattare una delle seguenti materie:

  • Integrazione digitale dei processi aziendali

  • Cybersecurity

  • Business data analyitcs

  • Intelligenza artificiale e Machine learning


Differenze

Rispetto alla formazione associata al vecchio piano Industria 4.0 e alle sue evoluzioni, cambiano le materie oggetto di insegnamento: nel caso della Formazione 5.0 ci sono 24 ambiti di cui 12 relativi alla transizione digitale e 12 relativi alla transizione green.

Sono diverse, poi, le aliquote, che nel caso della Formazione 5.0 seguono quelle conseguite grazie agli investimenti per il risparmio energetico.

Altra differenza è che, mentre la Formazione 4.0 consentiva la docenza anche da parte di personale interno, nel caso della Formazione 5.0 i docenti devono essere esterni e qualificati.

Infine, differenza rilevante è che la Formazione 5.0 ammette all’incentivo anche le attività svolte dai titolari di impresa e dai soci lavoratori, esclusi invece dal precedente incentivo.

Conclusioni

Anche in questo passaggio, di considerevole importanza per il mondo delle organizzazioni, BluPeak c’è, pronta ad affiancare e a sostenere le aziende nei percorsi di miglioramento.

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Digital Transformation e Business Transformation: due facce della stessa medaglia

Il piano Transizione 5.0 è quasi in dirittura di arrivo ed è destinato a portare nuove risorse economiche a beneficio del mercato dell’Information and Communication Technology (ICT) che appare già piuttosto vivace.

Per sostenere efficacemente un processo di trasformazione digitale è però necessario verificare anche la maturità e le capacità ad accettare questi cambiamenti da parte dell’organizzazione in cui si vogliono implementare le soluzioni digitali.

Dalla Digital Transformation può quindi nascere una Business Transformation… O forse è quest’ultima che consente di applicare con successo la prima.


L’andamento del mercato ICT

Secondo il rapporto “Il Digitale in Italia - 2024” diffuso da Anitec-Assinform, l’associazione del sistema Confindustria che segue le aziende e il mercato dell’Information and Communication Technology (ICT), il mercato digitale italiano nel 2023 ha fatto registrare una crescita del 2,1%, con un valore complessivo di 78,7 miliardi di euro.

I diversi segmenti specifici che compongono il mercato dell’ICT hanno consuntivato però risultati differenti.

I servizi ICT hanno evidenziato un +9%, mentre il settore dei dispositivi e dei sistemi ha mostrato un calo del 4,8%. Andamenti positivi hanno caratterizzato anche i comparti dei software e delle soluzioni ICT (+5,8%) e dei contenuti digitali (+5,5%).

Gli investimenti delle aziende e della PA si sono concentrati principalmente su:

  • soluzioni e servizi cloud per rendere più flessibili e scalabili infrastrutture e applicazioni;

  • strumenti di cybersecurity per la protezione dei dati ai diversi livelli;

  • gestione dei “big data” per migliorare l’utilizzo delle informazioni;

  • intelligenza artificiale per analizzare le informazioni e creare contenuti.

Vista all’orizzonte 2027, la tendenza del mercato appare in costante crescita, sia in valore assoluto, sia rispetto al PIL del Sistema Paese, e nel 2027 è previsto che possa superare i 90 miliardi di euro.

Gestire correttamente

la trasformazione digitale

A fronte di un mercato che appare quindi in crescita e che offre alle aziende soluzioni sempre più sofisticate e innovative, è corretto chiedersi quali siano i presupposti per gestire convenientemente la trasformazione digitale dei processi che, mai come oggi, può risultare “disruptive”.

La risposta è abbastanza chiaramente individuata: per una corretta implementazione di soluzioni e innovazioni digitali è necessario che l’organizzazione e i processi aziendali siano preparati a ricevere e gestire questi nuovi strumenti. Occorre una valutazione preventiva della “readiness” al cambiamento digitale e un’eventuale ristrutturazione del modus operandi.

Prendendo in prestito un’immagine dal mondo rurale, l’azienda che si affaccia a una trasformazione digitale può essere vista come un campo che deve essere opportunamente arato e fertilizzato prima della semina, affinché il raccolto sia abbondante e di qualità.

È bene quindi che l’imprenditore rifletta preliminarmente sullo stato della propria organizzazione e sulla sua preparazione/propensione al cambiamento.

Occorre appurare se in azienda vi sono le giuste competenze per una trasformazione digitale dei processi e integrare le eventuali lacune. È però anche necessario eliminare le resistenze al cambiamento, sostenendo le persone che fanno parte dell’organizzazione e guidandole in modo opportuno attraverso la trasformazione dei processi in cui sono coinvolte, in modo che possano sentirsi parte integrante delle nuove dinamiche e non cadano nell’idea di essere escluse o, peggio, sostituite nelle mansioni dai nuovi sistemi informatici.

Una simile analisi, complessa e articolata, richiede all’imprenditore o al manager che l’affrontano freddezza e serenità di giudizio e di critica, anche del proprio operato; ma soprattutto la capacità di non cedere alla tentazione di pensare che la semplice adozione di un sistema informatico (magari agevolata da incentivi statali che coprono l’investimento) riesca a essere la panacea dei mali dell’azienda, senza capire che questi possono avere radici più profonde e difficili da estirpare.

In questo percorso può essere d’aiuto ricorrere a un supporto esterno di esperti in grado di guardare all’organizzazione in maniera trasparente e senza preconcetti, apportando inoltre un contributo di esperienza derivante dal confronto con diverse e molteplici realtà. 

In sintesi, possiamo affermare che una trasformazione digitale di successo si realizza non solo tramite una scelta ragionata del software o del sistema da acquistare, ma analizzando e plasmando preventivamente il contesto affinché l’introduzione e l’utilizzo dei nuovi strumenti informatici possano essere portati avanti con successo e con continuità nel tempo, creando autenticamente valore per l’impresa.


Foto di copertina: Gerd Altmann - Pixabay

Andrea Calisti

Business Transformation Expert


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Il Leader: chi è (era) costui?

Riflessioni, perché non sono mai abbastanza, sulla figura e sul concetto di Leader e di Leadership, elementi sempre essenziali nel governo delle aziende come nella gestione dei progetti.

Partiamo dai fatti

Se consideriamo la definizione ufficiale del vocabolario Treccani, il concetto di “Leader” è messo in relazione alla politica e allo sport.

Nel primo caso il leader è il capo di un partito, di un movimento d’idee, di un’organizzazione, di un gruppo. Nel secondo caso il leader è il concorrente (atleta o squadra) che è al primo posto in classifica durante la disputa di un campionato o comunque di una gara con più prove, oppure il cavallo che in ogni circostanza corre davanti agli altri, li conduce e serve loro da guida.

Ci perdoneranno gli accademici della Treccani se in questo contesto, e rifacendoci al mondo delle aziende che ben conosciamo, declineremo il concetto di “Leader” in forma diversa.

Innanzitutto, il leader non è (sempre) chi occupa una posizione apicale nell’organizzazione, men che meno il “padrone” o il CEO dell’azienda. Certamente per queste figure la leadership dovrebbe essere una dote innata e necessaria ma, purtroppo, ciò non sempre si verifica.

Il leader dovrebbe necessariamente dare prova di avere ed esercitare le seguenti capacità:

  • conoscenza dell’azienda;

  • conoscenza del prodotto e del mercato;

  • visione a medio/lungo termine;

  • capacità di trasformare la visione in scelte operative coinvolgendo e motivando i collaboratori.

A. Olivetti

Una volta l’imprenditore conosceva i propri collaboratori (dall’ingegnere al semplice operaio) per nome. Aveva ben presente sia le capacità tecniche di ciascuno, sia le singole situazioni familiari e personali, e sapeva impegnarsi per mettere ciascuno nella condizione di rendere al meglio nel lavoro quotidiano. Allo stesso tempo, l’imprenditore autentico, prima di accedere alle funzioni di vertice dell’azienda, faceva una robusta gavetta partendo dal basso, per conoscere e toccare con mano i vari aspetti della produzione. Così è stato, ad esempio, per Adriano Olivetti o, in tempi più recenti, per il compianto Giovanni Alberto Agnelli (che oggi, se non fosse troppo prematuramente scomparso, avrebbe 60 anni). Questa è leadership esercitata a livello delle persone.

L’imprenditore deve conoscere il mercato, quello interno come quello di esportazione e sapere quali scelte compiere non solamente per moltiplicare i dividendi degli azionisti, ma soprattutto per mantenere e creare lavoro e valore d’impresa. A tale proposito ci sembra quanto mai opportuno ricordare nuovamente Adriano Olivetti e la storia della sua azienda che, per contrastare i momenti di crisi e non licenziare, ha costantemente cercato sbocchi in nuovi mercati, rimanendo attenta alle innovazioni di prodotto e alla diversificazione del business (per esempio nel settore dei mobili per ufficio). Allo stesso modo la vision dell’impresa e del contesto è necessario che vada oltre il breve termine e la logica degli incentivi ottenibili dai singoli governi, rimettendo al primo posto la capacità di fare innovazione (di prodotto come di processo) e di gestire il rischio di impresa. Questa è leadership etica.

D. Giacosa

Sulla conoscenza del prodotto e sulla capacità di sviluppare prodotti innovativi e in linea con le aspettative dei clienti, non possiamo non ricordare Dante Giacosa e Vittorio Ghidella, creatori di alcuni tra i modelli più innovativi della Fiat: Topolino, 600, 500, 128, 127, Uno, Croma (con le sorelle Alfa Romeo 164 e Lancia Thema).

Questa è leadership tecnologica.

Foto: Emslichter - Pixabay

Infine, come già accennato, il leader deve proiettarsi nel futuro. Saper guardare alla luna e non al dito e, soprattutto, voler raggiungere la luna e motivare i collaboratori verso questo obiettivo. Su questo concetto calza perfettamente la frase dantesca: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (Divina Commedia, XXVI canto dell’Inferno). Questa è probabilmente la dimensione più autentica della leadership.

Leadership: concetto quanto mai essenziale e necessario alle aziende

per esser competitive

Il leader autentico è quindi una persona che, come si dice in gergo giornalistico, è sempre “sul pezzo”, sia nella gestione delle dinamiche interne all’azienda, sia nelle relazioni con il contesto esterno.

Nel progetto, il Project Manager dovrebbe avere le diverse dimensioni della leadership distillate al massimo livello, non solamente per far lavorare correttamente e in modo coordinato verso gli obiettivi comuni i diversi componenti del team di progetto (che spesso sono fisicamente lontani o possono appartenere ad aziende diverse), ma anche per gestire in modo corretto le relazioni con lo “sponsor” e i mutamenti di scenario.  

Le aziende competitive e di eccellenza dovrebbero avere leader veri nelle posizioni strategiche a qualsiasi livello: apicale, ma anche operativo.

La leadership è inoltre una dote fondamentale per poter gestire efficacemente l’ingresso dell’Intelligenza Artificiale nelle organizzazioni, evitando sconvolgimenti di ruoli e di clima aziendale… Ma questa è un’altra storia.

Foto di copertina: Gerd Altmann - Pixabay

Andrea Calisti

Business Transformation Expert

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