Adriano Olivetti, imprenditore visionario

Esistono ancora in Italia imprenditori visionari capaci di operare la Business Transformation?

L’esempio di Adriano Olivetti e le trasformazioni industriali di oggi

Quando si parla di imprenditori visionari, l’esempio che viene sempre citato è quello di Steve Jobs. Senza nulla togliere a questo protagonista della storia recente, il cui merito è senza dubbio quello di aver saputo declinare in modo inedito oggetti di uso quotidiano (pc e telefonini) e di offrire al mercato proposte innovative (iPod e tablet), anche in Italia abbiamo avuto un modello eccellente di imprenditore, le cui intuizioni hanno portato importanti rivoluzioni di prodotto e hanno consentito a un’azienda nata nel Piemonte agricolo, di diventare protagonista sui mercati di tutto il mondo.

Adriano Olivetti: l’uomo, la fabbrica e il mondo

Difficile riassumere il personaggio Adriano Olivetti (qui in una foto del 1957) in una definizione unica ed esauriente, considerato il contributo che ha fornito all’economia italiana del secondo dopoguerra e alla storia della cultura industriale in generale.

Imprenditore, intellettuale, politico (purtroppo con scarso successo), innovatore, urbanista, Olivetti era certamente un visionario (attribuendo alla vision il senso di percezione strategica dell’evoluzione e del fine ultimo che le organizzazioni devono perseguire per raggiungere e mantenere livelli di eccellenza), probabilmente in anticipo sui tempi per l’epoca in cui ha vissuto e ha espresso le sue idee.

Per capire la portata del pensiero di Olivetti, è opportuno citare alcune frasi tratte dal discorso fatto ai lavoratori in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento campano di Pozzuoli nel 1955. Le sue parole precisano il ruolo che un’azienda riveste non solo nel sistema produttivo in generale, ma anche nel tessuto sociale del territorio in cui opera:

“Il segreto del nostro futuro è fondato, dunque, sul dinamismo dell’organizzazione commerciale e del suo rendimento economico, sul sistema dei prezzi, sulla modernità dei macchinari e dei metodi, ma soprattutto sulla partecipazione operosa e consapevole di tutti ai fini dell’azienda.”

“Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di fabbrica?”

“La fabbrica fu quindi concepita alla misura dell’uomo perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza (...) una cellula operante rivolta alla giustizia di ognuno, sollecita del bene delle famiglie, pensosa dell’avvenire dei figli e partecipe, infine, della vita stessa del luogo che trarrà dal nostro stesso progresso alimento economico e incentivo di elevamento sociale.”

L’azienda è concepita e presentata dunque come entità dinamica, innovatrice nei metodi e nelle attrezzature, ai cui obiettivi concorrono in maniera consapevole tutti i componenti dell’organizzazione (dal dirigente all’apprendista); azienda come strumento di riscatto e di prosperità collettiva e non solamente come fonte di profitto per gli azionisti.

Queste idee, espresse con forza e profondamente radicate nelle convinzioni di Olivetti, rappresentano i cardini del pensiero olivettiano, la cui architettura vede Fabbrica, Persone e Territorio come realtà interconnesse che operano scambi reciproci e si influenzano l’un l’altra, vivendo e crescendo in simbiosi con reciproco beneficio.

La fabbrica costituisce un organismo socioeconomico i cui componenti devono operare in sinergia per un fine comune e condiviso. Il profitto non può rappresentare il fine ultimo e principale dell’industria. La fabbrica deve essere aperta e partecipe delle vicende del territorio in cui opera.

Dall’inizio degli anni 30 del secolo scorso, quando arriva ai vertici aziendali, Olivetti indirizza la propria linea gestionale secondo tre direttrici di strategia precise, che portano la società a operare un’importante trasformazione di business:

  • il prodotto;

  • i mercati;

  • le persone.

Nel 1932 esce la MP1, tra le prime macchine da scrivere portatili per dimensioni e peso (circa 5 kg per un’altezza di 11 cm), ma soprattutto il primo prodotto Olivetti nel quale viene applicato, per la prima volta, un concetto caro all’ingegnere, che diventerà il filo conduttore delle politiche di prodotto aziendali e sarà fonte di prestigiosi riconoscimenti: il design.

Erede dell’MP1 sarà negli anni ’50 la Lettera 22, nata da un progetto di Marcello Nizzoli e Giuseppe Beccio, che nel 1959 vincerà il premio “Compasso d’Oro” per il design e che è esposta nella collezione permanente di design al “Museum of Modern Art” di New York.

Sotto la spinta di Olivetti vengono anche rinnovati gli edifici aziendali applicando concetti architettonici inediti e viene dato impulso alla ricerca su settori innovativi (le macchine da calcolo, l’elettronica), vengono aperti nuovi mercati e, soprattutto, viene creata una rete di punti vendita unica nel suo genere, nella quale al prodotto viene affiancata l’estetica dei locali, un’attenzione al design degli ambienti e degli arredi.

Adriano Olivetti può, a tal riguardo, essere considerato a pieno titolo l’inventore del concetto di showroom nel senso moderno del tema. Un interessante esempio di questa filosofia è lo showroom Olivetti di New York (dove le macchine erano poste su piedistalli all’esterno del locale, a disposizione di chiunque volesse provarle) e il Negozio Olivetti di Venezia, progettato dall’architetto Carlo Scarpa, e che oggi restaurato, è visitabile come spazio museale.

Negli anni 50 e 60, alle macchine da scrivere e da calcolo si affianca un settore emergente: l’elettronica. Anche qui Olivetti ha intuizioni geniali, una per tutte sostenere le ricerche dell’ing. Mario Tchou, brillante tecnico italo-cinese, padre dell’Olivetti ELEA (ELaboratore Elettronico Automatico), primo calcolatore a transistor che rispetto agli elaboratori a valvole allora esistenti abbinava rapidità di lavoro e ingombri ridotti. 

L’ELEA 9003 viene presentato alla Fiera di Milano nel 1957. È un grande successo della ricerca e dell’industria italiana, che apre l’era informatica della Olivetti che porterà l’azienda ai vertici mondiali dell’informatica di consumo, con prodotti che coniugano design e prestazioni.

Altro caso da ricordare è sicuramente la vicenda tecnica del progetto P101 che, nato inizialmente come prodotto sperimentale, è di fatto diventato il primo esempio di computer “da tavolo” a cui si ispirerà l’americana HP per le proprie macchine da calcolo e che sarà utilizzato dalla Nasa per le missioni lunari.


L’eredità di Adriano Olivetti nell’industria italiana di oggi

La prematura e improvvisa morte di Adriano Olivetti (avvenuta nel 1960 ad appena 59 anni) ha sicuramente privato l’industria italiana di un protagonista che molto avrebbe potuto ancora dare al contesto sociale ed economico, e che ha avuto pesanti ripercussioni anche sull’evoluzione della stessa azienda Olivetti, oggi di fatto scomparsa.

Se si volessero riassumere in breve gli insegnamenti di Adriano Olivetti si potrebbe dire:

  • una fabbrica è fatta prima di tutto di PERSONE;

  • un’industria vive di PRODOTTI;

  • AZIENDA e TERRITORIO sono intimamente legati da comuni obiettivi di sviluppo.

Tenendo presente tali brevi massime, tuttora estremamente attuali, viene spontaneo chiedersi se nel contesto industriale di oggi si possono trovare degli eredi del pensiero olivettiano.

Senza fare nomi, possiamo dire che oggi in Italia, ma anche in altri paesi industrializzati, sono individuabili due macrocategorie di “capitani d’industria”:

  • i capitalisti;

  • gli imprenditori.

I primi sono proiettati verso una dimensione dell’azienda prettamente finanziaria che guarda molto ai dividendi e meno al consolidamento e allo sviluppo attraverso l’innovazione di prodotto, la ricerca di nuovi mercati, il radicamento nel territorio e la conservazione del know how. Per costoro, gli investimenti sono pilotati esclusivamente dalla capacità di essere remunerativi e non sono necessariamente legati a una tipologia di prodotto o a un luogo di produzione specifico. Essi agiscono in funzione di una logica che, tra gli stakeholder aziendali, mette l’azionista al primo posto. Così le aziende si trovano a essere delle entità astratte e prive di radici e personalità, come nella definizione che il sociologo Franco Ferrarotti ha dato delle multinazionali.

I secondi sono coloro che si impegnano in azienda in prima persona affrontando ogni giorno i problemi e le sfide che nascono nella fabbrica, che seguono le evoluzioni del mercato cercando costantemente nuove opportunità e investono i guadagni nel miglioramento delle tecnologie e dei macchinari e nell’ampliamento delle infrastrutture anziché in dividendi, perseguendo una logica di sviluppo nel rispetto delle proprie radici, che coinvolgono i familiari e i figli nella gestione dell’azienda perché capiscano il valore del lavoro, imparino e sappiano dare continuità nel futuro all’iniziativa imprenditoriale.

Sono questi gli imprenditori che, anche in vari luoghi d’Italia, raccolgono e portano avanti con l’impegno di ogni giorno il prototipo di sviluppo economico olivettiano, che può rappresentare, nell’attuale epoca di transizione e di incertezza di modelli e riferimenti, una solida base per costruire relazioni umane e sociali stabili e proficue, realizzare una Business Transformation di successo e portare sviluppo economico durevole.

Personalmente ho avuto il privilegio di conoscere e lavorare con alcuni di questi imprenditori, ricavando un importante arricchimento umano e professionale, ed è perciò a loro che mi sento di dedicare le mie riflessioni.

 

Andrea Calisti

Business Transformation Expert del Team BluPeak


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